Testimonianze

La musica, l’arte e il Movimento dei Focolari

GUIDO LICASTRO

Che posto ha la musica all’interno del Movimento dei Focolari? Che posto ha l’arte all’interno del Movimento dei Focolari? E sempre all’interno dello stesso, le espressioni dell’ingegno hanno una loro ragione d’essere o devono sottostare a un “superiore” ordine delle cose? Cercherò di trattare l’argomento risalendo alla mia esperienza e, ove possibile, a testi ufficiali dove la modalità riconosciuta “valida” viene evidenziata.

A scanso di equivoci, all’interno di questa organizzazione non esistono specifici diktat che delineino una condotta lecita o una illecita da parte dell’artista; è tuttavia evidente un continuo tentativo di “ridurre” (o ricondurre) l’opera creativa del singolo in un canale aderente al pensiero originario della fondatrice Chiara Lubich - di colei, cioè, che ha posto le basi per un pensiero “ideale” a lei confacente e ortodosso.

Nel corso degli anni i fondamenti teorici dei Focolari sono stati sempre più manipolati in maniera strumentale perché diventassero confacenti al pensiero della fondatrice, in modo da rafforzarne le tesi e fornire agli artisti un ambito ben delimitato dove muoversi all’interno di un cosiddetto “politicamente corretto”.

Quando è spuntata la dimensione musicale nel Movimento? Fin dai primi anni, nelle Mariapoli trentine, con canti presi a prestito da composizioni famose e riadattate nel testo per magnificare le esperienze comunitarie che si vivevano. Così i canti alpini famosi (come La montanara) diventavano canti pro-Mariapoli; canzoni che nulla avevano a che fare con la religione (come Il cielo in una stanza, brano che racconta le sensazioni di un uomo che ha fatto l’amore con una prostituta) diventano canzoni angeliche. Insomma, ogni composizione era buona per essere tramutata da “canzone del mondo” in canzone Focolarina (e dunque “del Cielo”). Il vezzo è continuato e continua tutt’ora.

Questa impostazione racconta di come i Focolarini si sono posti dinnanzi alla musica: l’uso che ne fanno è puramente strumentale; strumentale come quello che fanno, come si può verificare leggendo le relazioni dei loro convegni, estrapolando brevi brani di autori, scrittrici, pensatori, filosofe e artisti famosi, sempre e solo per fornire un sostegno alle proprie tesi.

Un altro elemento distintivo è la negazione (quando non il netto rifiuto) dei concetti di errore, negatività e disarmonia nelle opere dei loro artisti; vige una rigida separazione tra ciò che viene spregiativamente considerato “umano” da ciò che, invece, ha a che fare con l’ispirazione (o presunta tale) che viene dal sacro, dal “divino”; il Movimento parla, in questi casi, di un’ispirazione “ideale”.

Ho conosciuto il Movimento nel 1975, all’età di diciassette anni. Già da allora avevo una grande passione per la musica. Il mio primo impatto con i Focolarini fu una “giornata dei giovani”, organizzata dai Gen - la sezione giovanile del Movimento - in un teatro accogliente; una band (ma allora si diceva “complesso”) di giovani che suonava negli intermezzi delle testimonianze (loro le chiamavano “esperienze”). Ero affascinato dal messaggio: parlavano di “rivoluzione d’amore”, vivevamo nell’onda post-sessantottina, io ero sensibile a ciò che era alternativo, rivoluzionario, di sinistra e contro (“contro” era una parola molto usata negli ambienti extraparlamentari…) e questi ragazzi dicevano di essere “controcorrente”... e suonavano!

Bingo!

Ovviamente, una delle prime cose che feci fu di chiedere se potevo entrare nel complesso Gen. Altrettanto ovviamente, saper suonare non era la caratteristica richiesta per entrare nel gruppo: c’era ben altro! Per entrare nel gruppo avrei dovuto fare una serie di prove di ingresso: vere e proprie “prove di fedeltà” ai Focolarini, che prevedevano una specie di rito di iniziazione che si apriva con un percorso formativo interno. Innanzitutto dovevo seguire alcuni incontri come pre-Gen e dare adesione orale di scelta di Dio (!?) secondo l’accezione del Movimento; le condizioni di tale adesione prevedevano istruzioni precise: “Devi lasciare tutto”, “L’Ideale di Chiara (= di Dio) viene prima di tutto”, “Devi perdere ogni attaccamento alle cose”, “Devi imparare ad amare il dolore del distacco” (questa era l’ultima prova, che sarebbe poi stata un leitmotiv per molti anni).

Mi misi di buona lena.

Lasciare il coro parrocchiale? Fatto. Lasciare la parrocchia? Fatto (lo chiedevano a chi frequentava le chiese locali). Abbandonare le passioni? Uhm... rimuginando... Anche la musica? Ma come?! Avevo studiato per anni, mi ero diplomato, la musica mi dava soddisfazioni, era sempre stata parte della mia vita! Che fare?

Come minimo, avrei dovuto metterla “in soffitta” e scordarmi di suonare! Quella della soffitta era un’espressione molto diffusa nel Movimento: spesso Chiara Lubich aveva raccontato, come proprio eroico gesto di sacrificio, di aver “messo i libri in soffitta”.

La trappola era scattata: “Sì, devi lasciare tutto. Dopo, ma solo dopo, lo ritroverai in un’altra dimensione”.

Che cosa intendevano esattamente? Per la prima volta mi trovavo davanti a un tipico dilemma focolarino: dovevo lasciare per lasciare o stavo lasciando per ritrovare?

Alla fine, il complesso Gen aveva bisogno di un tastierista e mi “assunsero” nel gruppo in prova, sotto stretta sorveglianza: dovevano valutare se per me fosse più importante la musica o la vita nella comunità.

Questa lunga premessa è utile per capire che all’interno del Movimento non contavano le predisposizioni personali, le caratteristiche peculiari dei singoli: sopra tutto contava il grado di fedeltà al Movimento. D’altronde, tale postura si trova spesso negli interventi della fondatrice (o dei suoi fedeli comandanti):

La caratteristica di un “popolo” che vive secondo il comandamento dell’amore evangelico è infatti l’armonia che si stabilisce tra gli individui e che trova la sua espressione in tutte le dimensioni esterne della vita come effetto dell’unità.1

Il che, tradotto, vuol dire che le espressioni artistiche hanno un valore se inserite nel solco dell’unità.

Sazia questa sete di bellezza che il mondo sente, manda grandi artisti, ma plasma con essi grandi anime che col loro splendore avviino gli uomini verso il più bello tra i figli degli uomini, Gesù!2

Passando dalla teoria alla pratica, ogni persona che voglia creare qualcosa di artistico deve seguire un percorso assai tortuoso. Perché se da un lato deve essere creativa e appoggiarsi alla personale sensibilità, dall’altro è vincolata a non uscire dal tracciato comune imposto dal “vivere nell’unità”, frenata dalla tensione a gravitare solo intorno a un’idea condivisa e ortodossa.

Esistono, nel Movimento, due istituzioni musicali che hanno avuto un imprimatur dalla fondatrice stessa, tanto da essere de facto due pezzi ufficiali nel diagramma organizzativo del Movimento: il Gen Rosso e il Gen Verde. Le musiche e i brani di questi due gruppi erano pubblicizzati, riprodotti e utilizzati durante gli incontri, dai “complessini Gen” (un diminutivo usato non a caso, per rimarcare una precisa - per quanto non scritta - scala gerarchica, visto che questi erano composti dai Gen, una branca in qualche modo “inferiore”) che ne dovevano rispettare le caratteristiche. Tutto doveva veicolare il messaggio di Chiara nei termini corretti e concordati. L’interpretazione musicale e ritmica era considerata secondaria, rispetto al contenuto testuale; per tale motivo, poteva accadere di ascoltare lagne suonate con chitarre scordate e facce sorridenti e convinte - e il sorriso era la cosa importante. Talvolta, anche se le esecuzioni erano di buon livello, non ne rimaneva traccia sui nastri; c’era invece grande cura nel registrare e conservare ogni esperienza, ogni discorso sul carisma e ogni meditazione di Chiara. Questa disparità la dice lunga sulla (bassa) considerazione che la musica aveva all’interno del gruppo.

In alcune occasioni però, specie quando si trattava di pubblicizzare le attività del Movimento, capitava che si facessero grandi adunate di artisti per proclamare l’importanza dell’arte nel mondo focolarino; sotto sotto, la verità era un’altra: il Movimento cercava di mettere radici in ogni aspetto dello scibile umano, così da occupare tutto l’orizzonte e non lasciarsi sfuggire alcuna possibilità di espansione. Del talento si faceva un uso esclusivamente strumentale.

Basta leggere come il Movimento si racconta sul proprio sito:

Oggi sono numerosi, di varie parti del mondo e di diverse discipline, gli artisti che lavorano e vivono così: mettendo al primo posto la “mutua e continua carità” tra loro e il prossimo, e cercando di donare al mondo la bellezza di Dio attraverso il talento artistico [...] L’arte, vissuta secondo il modello evangelico, può svelare le sue peculiari caratteristiche per ognuna di queste discipline. [...] La scoperta fatta è che l’arte espressa vivendo il Vangelo può rivelare la sua vera caratteristica nella stessa disciplina: musica, teatro, letteratura poetica e tutto il resto.

A dimostrazione del fatto che l’arte non potesse assurgere a valore a sè stante e che gli artisti fossero liberi di creare, esisteva un metodo di “correzione” istituzionalizzato e in contrasto con le norme che la Chiesa stessa propugna: con l’espressione “purgatorio” il Movimento si riferisce a una reprimenda dell’assistente che, alla bisogna, ribadisce il concetto che “si suona per Dio”, non per farsi vedere. Evidentemente, il lato narcisistico dell’artista - una caratteristica spesso peculiare! - veniva beatamente considerata una tentazione - nel gergo interno, una “disunità” - ovvero un ostacolo a essere veri Gen e fedeli seguaci di Chiara Lubich.

Nei primi tempi in cui ci si addentra nel Movimento, i Focolarini sottolineano la bellezza della sequela di Gesù, proponendo il racconto dei primi tempi di Chiara e delle prime compagne: una storiella ripetuta a terremoto, per mostrare la bellezza del carisma col corollario della tecnica chiamata love bombing che ti fa sentire speciale in un contesto altrettanto speciale. L’effetto prodotto è quello di desiderare di rivivere quel clima da “primi tempi”, con tutte le dimensioni che lo costituivano - musica e bellezza comprese. L’orizzonte era definito da due regole difficili da conciliare:

1) Per raggiungere il cuore della fondatrice, diventa come lei!
2) Non avere pulsioni verso l’esterno, né tanto meno narcisistiche!

In quel reticolo di regole c’era sempre una doppia fregatura. Vedi un orizzonte bellissimo? Sì, ma devi dimostrartene degno! Puoi suonare... ma non come vuoi tu!

A distanza di tempo, mi sono chiesto: che cosa mi ha fatto restare e accettare quei vincoli? La paura di perdere quella che pareva (ed erano stati bravi a farmela sembrare) una “perla preziosa”. Musica a parte, ho sempre vissuto un dualismo nella mia affiliazione a quella che ormai chiamo “setta”: il dilemma tra stare dentro, accettando tutte le limitazioni, e abbandonare la tensione verso quell’orizzonte e le sue immaginifiche vette di santità. Il Movimento ha cercato in tutti i modi di dirmi che, fuori dal suo abbraccio, la mia vita non avrebbe avuto alcun senso. Lo scrivono ancora oggi sul loro sito, citando Chiara Lubich:

Non avrebbero avuto alcun senso le loro vite se non fossero state «una piccola fiamma di questo infinito braciere: amore che risponde all’Amore».3

Forse i Focolarini descriverebbero la fine della mia parabola tra le loro fila come una sconfitta. Come che sia, la mia storia con loro si è conclusa col riscatto della mia uscita nel 1997. Da lì ho ripreso il mio cammino, umano e musicale. Facendo pace, quando possibile, col mio narcisismo e scoprendo il valore, anche laico, del libero arbitrio.

Guido Licastro

1. “Arte e spettacolo” sul sito del Movimento dei Focolari (link).
2. Ibidem, da una Meditazione di Chiara Lubich sulla Pietà di Michelangelo.
3. “Volontà di Dio” sul sito del Movimento dei Focolari (link).

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