Il Focolare non ha il monopolio dell’Amore di Dio
MONIQUE GOUDSMIT
Tra il 2011 e il 2013 il governo olandese, con l’aiuto di una commissione indipendente, ha lanciato due grandi indagini sull’abuso dei minori. La prima indagine riguardava casi di abuso sessuale avvenuti in istituti cattolici, parrocchie, organizzazioni e scuole. Una seconda indagine si occupava nello specifico di abusi sulle donne, di natura sessuale ma anche psicologica ed emotiva. La commissione era guidata dal ministro Wim Deetman. I media riportavano periodicamente degli appelli alle vittime, invitandole a farsi sentire. Il messaggio era: “È ora di smetterla di buttare la polvere sotto il tappeto! Bisogna portare alla luce tutto ciò che è sbagliato per promuovere uno sviluppo positivo”.
Perfino le Nazioni Unite, nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (Ginevra 1948), hanno dichiarato che qualsiasi essere umano ha diritto a un pensiero libero e ha una coscienza libera — e io, dal più profondo del mio essere, ringrazio il Creatore della Vita di avermi dato un’anima libera.
Spinta da un desiderio di verità, ho spedito alla Commissione Deetman la mia testimonianza, raccontando tutto ciò io avevo sperimentato, osservato e vissuto in prima persona.
La lettera
Alla cortese attenzione del signor W. Deetman
Amsterdam, 21 maggio 2012
Egregio signor Deetman,
nell’ambito dell’esame e dell’eventuale procedimento relativo agli “Abusi nella Chiesa”, desidero attirare la Sua attenzione sui movimenti laici cattolici che hanno ottenuto l’approvazione del papa e che si trovano sotto l’autorità e la responsabilità diretta del Vaticano (Pontificio Consiglio dei Laici). Tali movimenti sono contaminati da abusi a tutti i livelli, perfino all’interno della loro organizzazione. Io stessa ho fatto parte per anni di un’organizzazione di questo tipo nei Paesi Bassi e sono sempre più convinta della natura settaria di questo gruppo.
Studiando il fenomeno delle sette, in primo luogo per far luce sul mio stesso cammino, ho trovato nella letteratura e su Internet varie liste con le caratteristiche delle sette. Sembra che una delle caratteristiche generali e tipiche, tra le altre, sia che nel loro sforzo di reclutamento non si fanno scrupoli nel violare le libertà personali e i diritti umani. Una struttura settaria è quindi necessariamente caratterizzata da abusi di ogni sorta.
Facendo un riassunto della mia storia personale, è mia intenzione illustrare come l’abuso, non soltanto fisico, ma anche psicologico, emozionale e spirituale può avere un impatto distruttivo sui giovani.
Mi chiamo Monique Goudsmit, ho 57 anni e abito ad Amsterdam. Vengo da una famiglia cattolica praticante. All’età di dieci anni (1965) la nostra famiglia è entrata in contatto con l’opera laica Movimento dei Focolari, fondata dall’italiana Chiara Lubich (nel frattempo deceduta). Si tratta di un movimento mondiale impiantato anche nei Paesi Bassi; il suo scopo è di realizzare l’unità in tutto il mondo vivendo il Vangelo. Anch’io sono stata introdotta a questo sogno utopistico, che mi ha attirato fortemente fin dall’infanzia. Fino all’età di 34 anni sono stata impegnata a tempo pieno nel Focolare e ho vissuto in uno dei loro centri, principalmente ad Amsterdam/Amstelveen. Nel 1988 me ne sono allontanata.
Il ricorso a tecniche immorali per influenzare le persone è tipico di una setta. È così che, in modo molto sottile, si viene allontanati sempre di più dal proprio ambiente familiare. Tutto ciò avviene in modo molto graduale. Parlo per esperienza diretta. Subito dopo il suo primo incontro con il Focolare, mio padre è improvvisamente deceduto. Mia madre fu allora invitata, assieme ai suoi quattro figli, a partecipare a un incontro estivo di qualche giorno. Era anche previsto un programma speciale per i bambini e così sono stata reclutata. Avevo dieci anni. La scomparsa di mio padre mi aveva rattristato e resa solitaria, quindi ero molto ricettiva alle loro attenzioni. I membri del Movimento dei Focolari si mostravano particolarmente gentili nei miei riguardi, colmandomi di amore e di attenzioni. Le loro idee di amore, di unità e l’accettazione del “grande ideale” mi riempirono come se avessi fatto una scorpacciata di dolci.
Senza dubbio sono stata considerata una futura “candidata” ideale. Nella mia fragilità ero una vittima docile: hanno abusato della mia condizione infantile e della mia innocenza senza preoccuparsi della mia integrità.
Non lontano dalla mia scuola c’era un centro chiamato Focolare: una casa in cui abitavano alcune signore che avevano scelto di rimanere nubili per servire l’opera. Dopo la scuola andavo spesso a trovarle, semplicemente perché queste signore erano molto gentili con me. A causa del vuoto a casa, credevo di aver trovato nel Focolare una nuova famiglia. XX, la signora responsabile di quella casa, era per me come una madre. Quando ne parlavo in questi termini, nessuno mi contraddiceva mai. Rientravo a casa mia sempre di meno e a poco a poco mi sono inesorabilmente allontanata dalla mia famiglia. Anche a scuola ero peggiorata, sentivo meno coesione con i compagni e stavo scivolando sempre più verso un “altro mondo”.
Tipici di una setta sono la posizione gerarchica, l’inviolabilità e il potere dei responsabili; tutti aspetti che ho vissuto fortemente all’interno del sistema del Focolare. Il concetto chiave di unità deve inserirsi in un rigoroso ordine spirituale. Che si trattasse della comunità costituita o di un incontro occasionale, c’era sempre un capo, una responsabile con la quale “dovevamo fare unità”. Nella casa in cui mi trovavo questo ruolo era svolto da XX, che rappresentava – per così dire – Chiara Lubich, che viveva a Roma e aveva la direzione generale del movimento. Essere in unità con XX significava essere in unità con Chiara Lubich, che era a sua volta in relazione con Dio. Lei riceveva messaggi speciali e mai nessuno osava metterla in discussione. Era venerata da tutti. Che venerazione settaria era questa! Anch’io provavo una grande soggezione ed ero affascinata dalla sua personalità.
Nel mio cammino verso l’unità mi confidavo soprattutto con XX, ma non mi rendevo conto che in questo modo finivo a poco a poco completamente in suo potere, che stava acquistando autorità su di me, anche sul piano emotivo. Proprio come in altre comunità di natura settaria, nel Focolare non potevano esistere amicizie intime, né forme di intimità emotiva. Doveva essere tutto “soprannaturale”. Nella comunità non c’erano rapporti di qualunque tipo con uomini e nemmeno gli incontri dei giovani erano misti. La cosa mi ha creato confusione, in quanto nel mio sviluppo puberale questa donna è stata il mio unico punto di riferimento. Era a tutti gli effetti responsabile della mia persona, mentre io ero completamente sottomessa e mi fidavo di lei. Ero ossessionata da questa donna, e nella mia giovane immaginazione il concetto del “fare unità” si spingeva assai lontano, assumendo sempre di più una connotazione sessuale. Lei era all’origine di tutto ciò, poiché mi trattava “molto affettuosamente” e mi faceva sentire speciale, il suo tesoro. Mi prendeva come esempio. Mi fece capire che ero la sposa prediletta. Grooming al più alto grado. Con i suoi sorrisi benevoli, le sue strizzatine d’occhio, le sue coccole e le sue attenzioni, seppe alimentare costantemente il mio amore segreto.
Avevo una gran paura di XX: aveva su di me un potere assoluto e io allo stesso tempo dipendevo da lei. Chi ero e dove potevo andare se fossi “uscita dall’unità”?
Tutto ciò è durato anni. Ero un’adolescente confusa, ma non avevo nessuno a cui parlare delle mie idee e dei miei sentimenti “peccaminosi”. Le rare volte in cui osai parlare del mio smarrimento, XX mi disse che “dovevo donare tutto a Gesù”, come se questa fosse una soluzione. E soprattutto come se fossi io a fare qualcosa di sbagliato. Un modo di agire, anche questo, tipicamente settario: la dottrina, prima di tutto, e quando ci sono dei problemi si trova una “soluzione generale”, spesso una piccola frase fatta o uno slogan ad hoc. La persona coinvolta non ha importanza.
Con uno sguardo al passato, non è poi così straordinario che un bambino idolatri una persona che, per esempio, ha in mano le redini del potere. Ma dietro XX si trovava tutta l’organizzazione, felice di aver trovato una nuova recluta. La mia dedizione tornava molto utile. Che il mio sviluppo sessuale di quegli anni ne uscisse sfasato era meno importante rispetto all’ideale di unità a cui si aspirava.
Malgrado la mia giovane età (13-14 anni), mi recavo sempre più spesso agli incontri e collaboravo attivamente agli incarichi di diffusione e apostolato per reclutare il maggior numero possibile di persone. Il mio entusiasmo veniva avidamente sfruttato. Insomma, mi avevano fatto un bel lavaggio del cervello. Ero “prigioniera”, ma io stessa mi tenevo prigioniera, e non ero affatto in grado di liberarmi.
La perdita della propria identità è considerata come uno dei tratti distintivi di una setta. Ripercorrendo la mia esperienza personale all’interno del Focolare, posso dire che effettivamente è l’aspetto di cui più mi rendo conto. Me lo hanno ripetuto con autorevolezza in ogni modo (alla terza persona): “Monique non può esistere... Monique deve morire per l’unità”.
I miei pensieri, i miei sentimenti e le mie opinioni non avevano importanza: tutto ciò doveva essere per così dire cancellato. Il mio “io profondo” doveva sempre essere soffocato, i miei confini furono costantemente calpestati. La mia coscienza veniva sempre maltrattata, poiché l’unità del gruppo era più importante. Per esempio, non ho potuto essere presente al matrimonio di mia sorella e quando in seguito mia nonna era in fin di vita, fecero in modo da farmi arrivare troppo tardi per poterle dare l’ultimo saluto. Della mia autostima non restava quasi più niente. Continuavo a sperare di poter arrivare a realizzare l’unità, ma non mi rendevo conto che per raggiungere un ideale così elevato dovevo rinunciare all’essere più autentico di me stessa.
Nel frattempo, ero diventata un’adepta molto fedele e fanatica. Data la mia educazione cattolica, pensai logicamente di essere stata chiamata a essere membro del Focolare a tempo pieno per consacrare la mia vita a Dio. All’età di diciannove anni sono stata autorizzata dal centro mondiale a Roma a entrare definitivamente nella comunità del Focolare.
Dopo aver ricevuto una formazione di operatore sociale presso l’Accademia Sociale, avevo trovato un impiego in qualità di assistente sociale nei servizi sanitari. La maggior parte di noi lavorava all’esterno e, come tutti, versavo tutto il mio stipendio alla comunità. Vi era un conto corrente per questo, ma ricordo ancora che un giorno XX mi disse: “Preferisco che ritiri tu stessa i soldi dalla banca e che poi me li dia, per evitare che in seguito si dica che siamo stati noi ad aver preso il tuo stipendio.”
È tipico dei membri di una setta il fatto di non disporre di beni personali, e il Focolare non faceva certo eccezione. Era la cosa più normale del mondo. Così, come se niente fosse, ho pure versato la mia parte di eredità avuta dai nonni, all’epoca 20.000 fiorini. Quando c’era bisogno di denaro per qualcosa, si giustificava questo modo di fare.
Tutti erano tenuti costantemente sotto controllo, com’è tipico nelle sette. Veniva controllato tutto, per esempio il modo in cui ci vestivamo, ma anche dove andavamo e chi frequentavamo. Ne è sorto un sentimento di oppressione. Ho sperimentato da vicino come tutto, fin nei più piccoli dettagli, venisse riferito ai responsabili. Tutto veniva giustificato, tutto veniva condiviso. Venivano lette le lettere e dovetti consegnare il mio diario. Niente privacy, niente libertà di pensiero: anche i pensieri più intimi dovevano essere condivisi, il che dava agli altri la possibilità di esercitare un controllo ancora più rigido su di me. Prima dei grandi incontri, venivano designati degli “angeli custodi”, incaricati di discutere con le persone che frequentavano per la prima volta o di tenere d’occhio quanti “facevano storie”.
Venivano annotati gli indirizzi delle persone nuove. La sera si riferiva cosa era stato detto e da chi. Trovavo sempre più difficile sostenere una conversazione normale, per via del fatto di dover tenere a mente quanto veniva detto e riferirlo in seguito. Con cadenza regolare, bisognava riferire tutto al centro mondiale a Roma. Non mi sono mai sentita minimamente libera di intraprendere un’azione spontanea.
Una delle caratteristiche di una setta è che i suoi membri sono sempre tenuti occupati e che non hanno più tempo per formulare una riflessione critica autonoma. Sottoscrivo pienamente questo fatto: l’espressione “tempo libero” non figura nel dizionario del Focolare. Le serate trascorrevano generalmente in riunioni tra gli abitanti del focolare, oppure per esempio con giovani, volontari o simpatizzanti del movimento. Ascoltavamo i discorsi di C. Lubich oppure condividevamo le nostre esperienze di vita del Vangelo e dell’unità. Tali incontri si tenevano regolarmente a casa nostra, ma ancora più spesso ci spostavamo in tutto il paese per le nostre attività apostoliche. Eravamo attive fino alla sera tardi. Anche durante il fine settimana erano previste in genere riunioni, oppure eravamo molto impegnate a preparare eventi più grandi. I lavori domestici si facevano generalmente negli spazi di tempo tra l’una e l’altra di queste attività. Non c’era mai tempo per altre attività all’infuori di quelle del Focolare e io ero soprattutto impegnata a fare quanto ci si aspettava da me. Non c’era alcuna libertà effettiva per uno sviluppo personale sano. Mi trovavo in uno stato di sfinimento cronico. Vivevo in una realtà parallela immaginando che fosse quella la realtà. Al lavoro mi sono spesso sentita a disagio e goffa, per esempio nelle interazione con le altre colleghe.
In Focolare non c’è mai spazio per il dialogo: nutrire dubbi su qualcosa o fare una domanda critica era fuori discussione. Una volta ricordo di aver chiesto una spiegazione a XX riguardo al “vivere in unità”, perché non riuscivo a capirlo.
“Non c’è niente da capire — rispose lei — basta che Chiara lo capisca !”.
Nonostante avessi raggiunto l’età adulta già da un pezzo, erano loro che pensavano al mio posto, le decisioni cadevano dall’alto e dire di “no” era fuori discussione.
E’ caratteristico proprio di una setta, a quanto pare, la ripetizione senza fine di una certa visione che diventa così un patrimonio collettivo, e il fatto che semplici concetti chiave acquistino una dimensione teologica particolare. Anche all’interno del Focolare avevamo la nostra terminologia, spesso incomprensibile agli esterni, ma eravamo convinte di essere le detentrici della verità.
La spiritualità di C. Lubich era il filo conduttore della nostra vita, utilizzavamo gli slogan che C. Lubich ci insegnava. Vivevamo “l’anima di Chiara”, la sua vita, quindi per così dire “una vita per procura”. La nostra vita autonoma, la mia vita personale non potevano esistere. Non avevo nemmeno spazio per una relazione personale con Dio, perché c’era qualcun’altro che si interponeva e che sembrava esercitare una forte influenza. Non sarò mai in grado di esprimere efficacemente a parole quale grosso peso abbia avuto tutto ciò su di me, anche a livello spirituale.
Intorno ai 34 anni d’età, mi convinsi a poco a poco di esistere in due persone: una Monique interna e una Monique esterna. Non riuscivo più a trovare me stessa, non potevo più sopportare il peso del Focolare, ho perfino accarezzato il pensiero di mettere fine ai miei giorni. Dovevo semplicemente uscire ... per salvarmi l’anima!
Quando ho comunicato la mia decisione, sono stata contrastata e messa sotto pressione per quasi mezzo anno. Volevo parlare con un sacerdote, perché sentivo di avere anche un conflitto di coscienza, ma XX affermò: “Non è necessario!”.
Alla mia partenza lei stessa mi disse ciò che pensava e cioè che aveva lei commesso un errore: “Tu non sei mai stata una vera Focolarina...”.
Tutto ciò è ormai acqua passata. Nel frattempo – 24 anni dopo – sono diventata una donna adulta. Ma il mio cammino di consapevolizzazione e la mia evoluzione continuano ancora: vivo la vita sotto il segno di una “liberazione” costante. Ogni volta faccio nuove esperienze di nuove cose che mi fanno stare bene con il mio io più profondo.
E allo stesso tempo, paradossalmente, non posso che accettare l’enorme peso che grava su di me.
Quali sono le conseguenze con le quali devo fare i conti?
• Soffro di un disturbo post-traumatico da stress e sono assistita per inabilità al lavoro.
• Ho un’ipersensibilità nei confronti del sentimento di persecuzione, di controllo e di oppressione dall’alto.
• Ho problemi con l’autorità.
• Trovo difficile fidarmi degli altri.
• Quando lasciai il Focolare a 34 anni ero di fatto emotivamente ancora una bambina; il mio sviluppo adolescenziale e giovanile non si è mai prodotto in modo naturale. Ancora oggi vivo sempre con una certa insicurezza verso il mondo, è come se ci fosse un vuoto di 23 anni nel mio sviluppo.
• Non smetterò mai di stabilire i miei limiti. Il fatto che nel Focolare dovevo sempre e dovunque dire di sì ha aperto la strada, in seguito, a delle esperienze negative, anche riguardo ad abusi (sessuali).
• Per anni la mia pseudo-identità mi ha impedito di capire chi fossi veramente.
• Anche la mia identità sessuale è stata per molto tempo un problema. Per via della confusione risalente agli anni della pubertà, ho creduto per anni di essere lesbica (cosa che in seguito si è rivelata falsa).
• Sono rimasta per molto tempo inconsapevole della mia autonomia.
• Soffro di frequenti disturbi di dissociazione.
• I miei legami familiari sono distorti.
• Ho una insofferenza per qualsiasi forma associativa.
• Ho faticato tantissimo a ritrovare un legame personale con Dio, perché c’era sempre di mezzo un capo e/o un movimento a perturbare la mia vita spirituale.
• A tutt’oggi vivo ancora con lo stipendio minimo; ho dovuto pagare per anni da sola le mie terapie.
Nel 2009 è stato pubblicato il mio libro in olandese Monique Goudsmit, Bevrijd. Over identiteitsverlies en de lange weg naar heelwording [“Libera. La perdita della mia identità e la lunga strada per diventare una persona intera”] (Calbona 2009) in cui descrivo in particolare l’impatto profondo del Movimento dei Focolari e il modo in cui io l’ho vissuto, che rappresenta ovviamente una parte importante della mia esposizione. Ma soprattutto considero questo libro come la mia storia di guarigione. La parte più difficile di questo processo è stato prendere coscienza delle mie ferite profonde per essere quanto più possibile onesta con me stessa. Dopo essere stata intervistata da Koert van de Velde, un giornalista di TROUW, il 2 ottobre 2009 è stato pubblicato un lungo articolo sul libro. A mia insaputa, van de Velde ne aveva inviata una copia al Cardinal Simonis, chiedendogli di commentarlo. La reazione di Simonis è stata pubblicata su TROUW, accanto all’intervista che avevo rilasciato. Vorrei citare in questa sede alcune sue parole:
Qui [in Focolare] trovo il vissuto di una comunità di fratelli e sorelle, come dev’essere la Chiesa. Amore nell’unità, unità nell’amore. Un ideale magnifico, di certo anche per i giovani. Ma anche un ideale da vivere. Tutta la Chiesa dovrebbe vivere questa spiritualità comunitaria. Il libro [di Monique Goudsmit] è molto triste; ciò che afferma non rispecchia affatto la verità... Mi sembra che Goudsmit, nella sua esposizione, ignori i bisogni del mondo e si concentri unicamente sui propri. Dovrebbe rendersi conto della sua limitatezza...
Questa reazione così denigratoria del Cardinal Simonis è stata come uno schiaffo in pieno viso. Mi sono sentita umiliata, incompresa, non trattata come un essere umano.
La mia storia non è un caso isolato. Dopo la pubblicazione del mio libro, sono entrata in contatto con molte persone che avevano vissuto esperienze analoghe, ex Focolarini, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali. Facendo tesoro della mia esperienza diretta, cerco ora di apportare il mio contributo. Sto diventando una specialista delle sette e mi sono iscritta all’ICSA (International Cultic Studies Association). Nell’ambito dello studio e di ulteriori sviluppi, mi sto documentando in modo sempre più approfondito in merito ad altre organizzazioni settarie, anche cattoliche, tra cui l’Opus Dei, l’Opera e le Ausiliarie dell’Apostolato. Alcuni ex membri di queste organizzazioni fanno ormai parte della mia rete di contatti.
Signor Deetman, nelle storie di altri ex membri ho riscontrato un numero incredibile di somiglianze e paralleli. Non so se nel frattempo tali persone L’hanno contattata.
Ciò che so per certo è che percepisco molta paura, tristezza e sofferenza in queste persone, che ancora oggi devono fare i conti con le proprie ferite, derivanti dal loro passato trascorso all’interno di questi movimenti. E tutto ciò sotto l’apparenza della Chiesa cattolica romana! Ferite inflitte (soprattutto) a giovani, con l’autorizzazione e la benedizione del papa, dei cardinali e dei vescovi.
Questi signori sono ignari di ciò che avviene dietro le facciate di questi movimenti; dopotutto, loro stessi sono accolti e avvicinati con il massimo rispetto. Inoltre, all’interno dei movimenti cattolici laici vige una forma di omertà. Il presunto primo obiettivo della Chiesa cattolica di non fare brutta figura si applica beninteso anche al mantenimento delle belle apparenze delle organizzazioni laiche. E non mi riferisco soltanto agli abusi sessuali. Quante cose profondamente sbagliate succedono!
Le scrivo questa lettera mossa dall’intenzione sincera di contribuire a fare in modo che tutto ciò venga a galla: non solo gli abusi psicologici, emozionali e spirituali, ma anche le pratiche settarie in seno alla Chiesa cattolica romana. Sostengo la necessità di rendere noto tutto ciò per promuovere uno sviluppo positivo della storia.
E soprattutto per prevenire altri danni!
Qualora Lei abbia ulteriori domande relative al contenuto di questa lettera, può contattarmi all’indirizzo sottostante o telefonicamente.
Con profondo rispetto e somma gratitudine per il Suo lavoro onesto riguardo all’analisi e nella speranza di futuri sviluppi, Le porgo i miei più cordiali saluti.
Monique Goudsmit
Una violenza che fa perdere la vista
Poco tempo fa un’amica mi fece notare che io, avendo scritto questa lettera ufficiale, avevo “tolto la veste da focolarina”. Forse è vero... ma non del tutto! Quello che è successo dopo è stato ancora più significativo.
Conclusa la sua indagine, il ministro Deetman ha presentato al governo la sua sintesi: un libro di 450 pagine. Era l’11 marzo 2013. Hanno organizzato una conferenza stampa, con la presenza di giornalisti e delle vittime. Sono stata invitata anch’io. Erano presenti tra le due- e le trecento persone. Deetman ha dichiarato che nel suo libro
non si descrivono i casi individuali, ma tutte le segnalazioni sono state usate per creare uno quadro generale dell’Olanda cattolica del dopoguerra. Come, per esempio, l’atmosfera fredda degli anni Sessanta, che nei conventi e scuole lasciava spazio per gli abusi psicologici. [...] Tutte le segnalazioni sono state studiate, abbiamo consultato la letteratura disponibile, esaminato gli archivi. Ma i casi di abuso psicologico ovviamente sono difficili da trovare negli archivi.
Conclusa la lunga presentazione dell’indagine, arrivò il momento in cui si potevano rivolgere delle domande al ministro Deetman. Prendendo coraggio, ho alzato la mano e ho detto:
Sono stata abusata psicologicamente da persone del movimento laico del Focolare. Capisco che il mio caso è un po’ diverso da quelli di cui lei parla relativi ai conventi e alle scuole. Nella sua ricerca ha potuto capire meglio come funziona il sistema di abusi psicologici nei movimenti laici?
Il ministro Deetman rispose:
Ehm... sì... il Focolare! Sono stato al loro centro, ho parlato con alcuni responsabili, li ho interrogati in modo molto critico. Loro hanno negato tutto. Non ho trovato informazioni utili per portare a galla i problemi; dico di più: non ho trovato nessun archivio! Nell’ambito dell’inchiesta, non ho potuto fare di più... ma non sono ingenuo!
Sono rimasta di sasso. Perplessa. Non sapevo come reagire. “Hanno negato tutto?!”. La notte seguente ho sperimentato come un “cortocircuito” nel cervello. La mattina dopo vedevo tutto doppio e sono dovuta correre da un neurologo in ospedale. Un nervo nel cervello, quello che fa funzionare gli occhi, era paralizzato.
Per un periodo lunghissimo non ho potuto più né leggere né scrivere. Era nei giorni in cui veniva eletto Papa Francesco; non riuscivo neanche a guardare la televisione. Dovevo stare a letto, al buio. È stato un periodo che mi ha segnato gravemente. In qualche modo, un periodo di grazia. Perché, non potendo vedere, mi si è aperto un “occhio interiore”, una luce forte che mi ha aiutato a liberarmi dall’interferenza del Focolare. È stata un’esperienza intima e personale che mi ha fatto ritrovare il mio legame con l’Eternità.
La prova del funerale di mia madre
Nel dicembre 2019 è morta mia madre. Nonostante l’età avanzata, era considerata sempre una volontaria dal Movimento dei Focolari. Dunque, al funerale c’erano tante persone del Movimento, comprese alcune focolarine con cui avevo vissuto in passato, 32 anni prima. Dovevo confrontarmi con loro in un momento molto infelice! Le focolarine volevano salutarmi e abbracciarmi, proprio nel momento in cui avrei dovuto mettermi in fila dietro la bara per entrare in chiesa. Mi sono scusata e mi sono unita alla mia famiglia. Un secondo tentativo da parte delle focolarine ebbe luogo al cimitero. La mamma veniva inumata nella tomba di mio papà e stavo per darle l’ultimo saluto. Un momento intenso, emozionante, in cui mi sentivo estremamente vulnerabile. Stando lì sulla tomba dei miei genitori, sentivo di dover chiudere qualcosa di essenziale dentro di me. Nel frattempo le focolarine volevano salutarmi e abbracciarmi. Ho finto di non vederle, sono rimasta molto raccolta per non farmi distrarre dai sorrisi “focolarina style”.
Alla fine della cerimonia sono stata costretta a salutarle. Per educazione. Mi hanno invitato a raggiungerle a Nieuwkuijk, la loro cittadella Mariapoli. Ho risposto gentilmente: “No, grazie!”.
Con dignità.
Libera.
Quando la sera sono tornata a casa, ho ringraziato Dio in ginocchio e con il capo a terra, per il Suo aiuto e la Sua silenziosa presenza. Per fortuna, il “popolo di Chiara” non ha il monopolio dell’Amore di Dio.1
1. L’autrice Monique Goudsmit (pseudonimo) è una ex focolarina consacrata dei Paesi Bassi, autrice del libro Monique Goudsmit, Bevrijd. Over identiteitsverlies en de lange weg naar heelwording [“Libera. La perdita della mia identità e la lunga strada per diventare una persona intera”], Calbona 2009.
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