Tutela legale

4.3 Tutela giuridica e patrimoniale

La mancanza di tutela riscontrata dal punto di vista patrimoniale, della sicurezza sul lavoro o del diritto del lavoro e tributario, nelle prestazioni lavorative all’interno delle attività o delle strutture, impone alle istituzioni pubbliche non solo un controllo scrupoloso, ma una revisione della disciplina patrimoniale e giuslavoristica per le formazioni sociali religiose, in modo che sia obbligatorio recepirla negli statuti di ordini religiosi e movimenti.

Chi aderisce a una famiglia religiosa o a una comunità ecclesiale approvata dalla Chiesa, deve avere la possibilità di vedere riconosciuto il suo apporto, come avviene nel regime patrimoniale della famiglia; di decidere e conoscere l’impiego di quanto conferito all’ente; di gestire autonomamente il denaro guadagnato, facendo gli acquisti che ritiene utili per la propria vita; di avere la garanzia che il reddito personale prodotto sia sempre dichiarato allo Stato, confluisca nel reddito nazionale, e di poterne mantenere la proprietà in caso di allontanamento o abbandono della comunità.

Un individuo, profondamente ed intimamente coinvolto da un’esperienza spirituale per lui significativa, può scegliere di condividere un progetto comune all’interno di una comunità, dedicando il proprio tempo e affidando le proprie risorse materiali agli obiettivi della comunità sulla base di una scelta spontanea, come avverrebbe nella comunione di vita nel matrimonio o nell’unione civile.

Poiché la comunità religiosa si caratterizza per la stabilità, la durata e la solidarietà reciproca, e si configura come formazione sociale, diventa indispensabile prevedere una specifica disciplina giuridica dal punto di vista patrimoniale, e un impianto normativo che tuteli gli interessi individuali dei singoli aderenti.

In base alla decisione della Suprema Corte di Cassazione, infatti, in riferimento alla disciplina penale del reato di “maltrattamenti in famiglia”, con il termine “famiglia” deve intendersi ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo (Cass. n. 40727/2009; n. 20647/2008; n. 21329/2007); mentre, in occasione della regolazione dei rapporti patrimoniali, in sede civile, con la sentenza n. 1277/2014, la S.C. ha affermato che “la nozione di ‘famiglia’ non deve limitarsi a quella basata sul matrimonio, ma può comprendere anche altri legami familiari di fatto, che devono essere compresi tra le formazioni sociali, alle quali si deve ricondurre ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire, ex art. 2 Cost., il libero sviluppo della persona umana”.

Per questi motivi, sarebbe necessario prevedere una disciplina specifica, che regoli il regime patrimoniale dei membri delle comunità ecclesiali che si consacrano a vita comune, in modo che le risorse, frutto del lavoro personale, restino di proprietà dei singoli individui, pur prevedendo, nell’ottica del principio di solidarietà, la possibilità che una parte delle risorse concorra alle esigenze collettive della comunità.

Si deve altresì prevedere una regolamentazione delle situazioni di abbandono della vita comune, garantendo la titolarità dei beni dei singoli membri, al fine di permettere la prosecuzione di un percorso di vita sereno e dignitoso.

Dal punto di vista patrimoniale, in base alle testimonianze raccolte, si è riscontrato che diverse attività economiche evadono o eludono la normativa, prevista in ambito di fiscale o giuslavoristico, dirottano fondi verso attività ausiliarie, utilizzano fondi pubblici per scopi autoreferenziali che non hanno una ricaduta diretta nel tessuto sociale di riferimento, né nelle realtà con finalità umanitarie.

I bilanci e gli statuti non sono pubblici e non esiste una documentazione trasparente né verso l’esterno né verso i propri aderenti, che non possono determinarne i contenuti.

Si ritiene, pertanto, indispensabile una revisione delle disposizioni di legge riferite alle associazioni pubbliche di fedeli (movimenti di consacrati), alla Prelatura Personale dell’Opus Dei e alle fondazioni autonome di beni spirituali (neocatecumenali).


Testo di Martina Castagna, Luigi Corvaglia, Paolo Florio, Guido Licastro, Maurizio Montanari, Emanuela Provera, Federica Roselli, Cecilia Sgaravatto e Monique Van Heynsbergen, tratto da Riflessioni giuridiche ed etiche sull’esperienza di adesione alle famiglie religiose e ai movimenti ecclesiali della Chiesa Cattolica. Giustizia e tutela dei diritti nella vita delle comunità ecclesiali (febbraio 2023).

precedente successivo

Il materiale è distribuito con Licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0