Testimonianze

Sesso, matrimonio, femminismo e omosessualità per il Focolare

GORDON URQUHART

Il fondamentalismo cristiano ha sempre riservato le sue condanne più aspre ai peccati della carne. Fino al Concilio Vaticano II, questa è stata anche la linea tradizionale tenuta dalla Chiesa cattolica: la visione dualistica di una bontà dello spirito e di un malvagità del corpo - esternata come Chiesa contro Mondo - si è sempre risolta con la condanna della sessualità. [...] Se il Vaticano, interessato alla propria immagine pubblica e non volendo certamente apparire in difetto di compassione, si impegna nella Veritatis splendor a tentare di addolcire il suo attacco, i movimenti non ne condividono gli scrupoli: il loro carisma, derivando direttamente da Dio, dà loro piena giurisdizione su tutti coloro che cadono sotto la loro influenza. Proprio come la spiritualità deve essere conservata nella sua purezza, così gli imperativi morali devono essere applicati senza attenuazioni e senza eccezioni. Infatti, con l’assoluta certezza della loro infallibilità, i movimenti sono preparati ad andare molto oltre al Vaticano nelle richieste ai membri, non mancando di imporre la loro volontà agli adepti con una crudeltà degna di un vero regime totalitario.

La sessuofobia

Chiara Lubich, i cui scritti sono normalmente spiritualizzati fino alla banalità, si lascia andare ad una rara esplosione di rabbia quando, in un discorso ai leader Gen tenuto a Roma nel 1972, descrive l’immoralità della società moderna:

Come nei più neri periodi della storia, s’è scatenata una bufera nel campo morale che, sotto i più vari pretesti, sradica ogni legge, abbatte ogni limite, facendo dilagare un vomitante erotismo, adducendo tutti i motivi per giustificare le più aberranti esperienze, per metter in rilievo dell’uomo non lo spirito che lo distingue e lo fa simile agli angeli, ma la carne che lo accomuna agli animali.1

Il dualismo spirito/carne e angeli/animali è riportato ottusamente ed è naturalmente fatuo perché l’uomo, evidentemente, non è una chimera formata da parti incompatibili: se può non essere un animale, certamente non è neppure un angelo. L’affermazione deriva da una conferenza su Maria, il cui nocciolo è che la devozione alla Vergine è diminuita perché ella rappresenta l’impopolare virtù della verginità.

Chiara Lubich non discute, asserisce e questo è un approccio comprensibile in un’organizzazione che condanna l’uso della ragione. Ciononostante, si potrebbe controbattere a questa dichiarazione che la devozione alla Vergine è diminuita semplicemente per il fatto che nel passato era stata troppo enfatizzata. Ma cerchiamo di arrivare al punto, e se anche non fosse abbastanza chiaro, nella versione inedita di questa conferenza (il Focolare fa una gran quantità di edizioni “assennate” dei lavori della Lubich), Chiara ha usato un aspro giro di frasi, inconsueto per lei, per esprimere il suo disgusto nei confronti degli atti di natura sessuale e per suscitare gli stessi sentimenti nei suoi ascoltatori:

Chiunque abbia gustato la feccia desidera sempre qualcosa di più piccante.

Molti, compresi i cattolici, troverebbero questo linguaggio esagerato e addirittura pericoloso, specialmente quando è rivolto ai giovani. Questa sensazione potrebbe essere alleviata se il discorso fosse stato inserito nel contesto di una visione equilibrata della sessualità umana e dell’educazione sessuale, ma, in effetti, non era così. Forse era la sesta volta che sentivo affrontare il tema del sesso nei nove anni che ho passato al Focolare, infatti, se era assolutamente necessario alludervi, venivano usati gli eufemismi più ellittici. Di gran lunga preferibile per i focolarini era, comunque, ignorare completamente l’argomento e, certamente, nel momento in cui le parole furono pronunciate, nessun tipo di educazione sessuale veniva proposta ai giovani membri del movimento. So questo perché dal 1973 fino a quando lasciai il movimento, nel 1976, ero responsabile della sezione maschile del movimento Gen in Gran Bretagna e l’unico messaggio che quei ragazzi ricevevano dal movimento, nei termini più forti possibile, era che il sesso era male.

Seguendo il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si aprì alle idee contemporanee nel campo della psicologia e uno dei concetti fondamentali acquisiti dai teologi morali e affidati ai cattolici impegnati in questo campo e nella psichiatria è che la sessualità è una parte basilare della costituzione umana. Perfino i preti celibi, le suore, i monaci devono venire a patti con questo aspetto della loro personalità, ma non gli appartenenti al Focolare. La visione angelizzata della natura umana può, nel caso migliore, essere comica, nel peggiore, come nella cura pastorale dei membri, fare danni che possono risultare irrimediabili.

L’atteggiamento del Focolare verso il sesso, come ogni altro aspetto del movimento, riflette quello di Chiara Lubich che prese i voti di castità perfino prima che il movimento nascesse. Quel fatto, avvenuto il 7 dicembre 1943, è ritenuto così fondamentale da essere considerato la data di fondazione del movimento: il cinquantesimo anniversario fu infatti celebrato nel 1993. Chiara Lubich ha spiegato chiaramente che per lei era impensabile, perfino repellente, qualsiasi scelta di vita diversa dalla castità. Ciò è illustrato da un episodio accadutole intorno ai vent’anni quando andò a fare visita a suo fratello Gino, medico, all’ospedale dove lavorava. Un altro giovane dottore guardò Silvia (come ella si chiamava allora) “con interesse”, così, la storia prosegue, lei se ne andò di corsa e non tornò mai più in quell’ospedale.

Come tutti gli altri aspetti del movimento, la castità era portata all’estremo. La dottrina di Chiara è un amalgama idiosincratico di cattolicesimo ultratradizionalista e di qualche idea sua. Una delle più radicate è il valore supremo dato alla verginità.

Abbiamo capito - dice - poiché abbiamo avuto una formazione cattolica, che lo stato di verginità è superiore a quello del matrimonio.

La struttura reale del movimento impersona il concetto di verginità. La stretta segregazione dei sessi è rinforzata ad ogni livello, non solo nelle comunità formate da non sposati ma tra tutti i membri del movimento. Sebbene la segregazione all’interno del movimento venga spesso criticata dagli esterni, viene considerata di suprema importanza dalla fondatrice perché riflette la castità dei vertici.

Fra i nuovi movimenti questo aspetto è tipico del Focolare e i focolarini parlano della propria struttura, che prevede appunto la divisione tra i sessi, con il termine eufemistico di “distinzione”.

Con caratteristica acutezza, gli incontri pubblici del movimento sono misti per dare una parvenza di normalità, ma quando furono fondate, a Loppiano, le “scuole” maschili e femminili per focolarini, i visitatori che vi giungevano ricevevano un’impressione completamente diversa e molto più accurata della struttura interna. I “quartieri” maschili e femminili erano situati alle estremità opposte di un ampio spazio con oltre un miglio di aperta campagna in mezzo; il “quartiere” delle donne era a Loppiano vero e proprio, mentre gli uomini vivevano in una zona conosciuta come Campogiallo. Sia gli appartamenti che i quartieri, gli alloggi e i luoghi di ritrovo erano separati e i visitatori, che venivano traghettati avanti e indietro fra il quartiere maschile e quello femminile, erano confusi dalla situazione.

Il “college”, il moderno edificio dove vivevano le donne, aveva l’aria di un convento; l’entrata principale portava ad un’enorme, spoglia zona reception con al centro una sola donna seduta ad un banco. Scale portavano agli alloggi, ai quali gli uomini non potevano accedere e che, quindi, chiamavamo scherzosamente “la clausura”.

Durante il mio secondo anno a Loppiano, mia sorella Ann venne in visita insieme alla sorella di un altro inglese che era alla scuola. Le ragazze avrebbero alloggiato al “college” e sarebbero state trasportate quotidianamente in auto in modo che potessimo trascorrere con loro il tempo libero dalle ore di lavoro. Dopo un paio di giorni, senza alcuna spiegazione, non si fecero vedere. Decidemmo di andare al “college” per scoprire cosa era successo. Attraversammo l’ingresso echeggiante verso la reception e le ragazze vennero convocate dalla “clausura”. Esse non riuscirono a spiegarci perché non erano venute a trovarci: tutto ciò che sapevano era che nessuno era stato incaricato di dare loro il passaggio. Improvvisamente una leader delle focolarine ci trascinò da una parte: “Non potevamo permettere loro di andare nella zona dei ragazzi così spogliate” spiegò con una smorfia. Infatti, le minigonne alla moda sfoggiate dalle due ragazze, quell’anno erano succinte al massimo. Unilateralmente, senza informare nessuno, la gerarchia segreta del “college” aveva deciso che il quartiere maschile di Campogiallo non dovesse essere esposto a tali tentazioni.

Le spinose questioni della sessualità non furono mai menzionate durante i due anni di corso a Loppiano ed io così mi convinsi di essere l’unico là ad avere desideri sessuali, cosa che aggravava i miei sentimenti di autoripugnanza e di alienazione. Forse ci sentivamo tutti in quel modo.

Poi, alla fine, sembrò che alle domande di argomento sessuale che affollavano il mio cervello si potesse dare una risposta. Fu annunciato un corso intitolato “Igiene”, un termine, piuttosto clinico, che doveva comprendere due materie svolte da due diversi insegnanti. Quelle conferenze furono bene accolte perché gli insegnanti sarebbero stati Fiore, uno dei primi membri femminili del movimento e Maras, il nostro riverito superiore. I discorsi di Fiore interpre tavano l’“igiene” in senso più stretto e il più stimolante di essi ci diceva come togliere macchie innominabili dalla nostra “biancheria personale”. Dato che Maras era un medico, i suoi discorsi dovevano occuparsi del “corpo”. Alla nostra prima lezione, attesa con impazienza, egli suggerì che ogni settimana avremmo potuto votare quale organo sarebbe stato discusso. Immediatamente una mano si alzò: “il cuore!”. La settimana seguente: “il fegato!”, “il cervello!”, “polmoni!”, “i piedi!”. In un modo o nell’altro non ci avvicinavamo mai all’argomento del quale io speravo segretamente si parlasse. Forse nessuno di noi osava suggerirlo ed ovviamente le autorità non avvertivano che quello fosse un argomento che doveva essere affrontato. Per i focolarini la castità era una specie di castrazione spirituale miracolosa. Dopotutto noi non eravamo esseri di carne e sangue, ma angeli. Ci veniva insegnato a non fidarci e a ignorare tutte le emozioni, a “perderle”, con le parole del Focolare e ciò, apparentemente, era applicato anche ai desideri sessuali. Sembrava che per i focolarini lo stadio preferito dello sviluppo emotivo fosse quello della preadolescenza. Ci chiamavamo l’un l’altro “popo” e “opa”. In Gran Bretagna i focolarini si chiamavano sempre “boys” e “girls” anche se la maggior parte di loro aveva quaranta o cinquant’anni. All’esortazione del Vangelo a farsi bambini si dà un’interpretazione fondamentalista e viene incoraggiato il comportamento infantile: correre dietro a Chiara Lubich e agli altri leader, sedere sul pavimento, ascoltarli parlare come fanciulli intorno a un cantastorie, recitare la “regola” a memoria. La complessità e la forza delle emozioni adulte è temuta e rifiutata. In questo stato di blocco dello sviluppo il sesso non ha nessuna parte e quindi questa esigenza non viene mai menzionata.

Non sorprende che i risultati di questa negligenza siano una pericolosa ignoranza e ingenuità. Una volta ho ricevuto a Loppiano un’appassionata “lettera di un ammiratore”, uno dei visitatori della domenica, un ragazzo di quindici anni, che mi diceva che non riusciva a smetter di pensare a me dopo il suo viaggio al villaggio e che mi pensava tutte le notti a letto prima di addormentarsi. Sapevo che c’era qual cosa di strano nella lettera e pensai che la miglior cosa fosse gettarla via senza rispondere. L’ignoranza in materia sessuale era così profonda da farmi pensare che, a un certo punto, tutto ciò finisse per incoraggiare proprio il comportamento che doveva prevenire.

Quando tornai a Loppiano qualche mese dopo che ero partito per l’Inghilterra, un focolarino del mio anno, che si era trattenuto come leader di una piccola comunità, mi raccontò dei problemi che avevano avuto con un giovane che era giunto là inaspettatamente e aveva avuto il permesso di rimanere. Normalmente i candidati alla scuola venivano controllati dalle “zone” prima del loro arrivo. Questo particolare nuovo arrivato si era preso così bene gioco di tutti che solo dopo sei mesi si scoprì che stava sistematicamente seducendo i giovani innocenti (maschi) che frequentavano la scuola. La loro ingenuità era tale che, probabilmente, immaginavano che egli stesse insegnando loro un nuovo modo di “fare unità”.

Nel giugno del 1971, durante il mio primo anno a Loppiano, andai al Centro Mariapoli a Rocca di Papa per fare l’interprete ad un incontro ecumenico tra i focolarini cattolici e i membri della Chiesa ortodossa. L’argomento era la Vergine Maria. La prima mattina mi avevano affidato un compito particolarmente difficile. Un teologo ortodosso doveva fare un discorso in greco mentre io dovevo tradurre in inglese da una trascrizione italiana ed era difficile procedere di pari passo. Un’organizzatrice della conferenza, una delle prime focolarine, Gabriella Fallacara, mi disse: “Se non riesci a tradurre qualcosa, saltalo e basta, non è importante”. Fu un suggerimento strano, perché di solito a questi incontri tutto era considerato di vitale importanza. Entrai nella mia cabina e iniziai a tradurre; mi resi subito conto di cosa ella intendesse con quella frase. L’argomento della conferenza era la Verginità di Maria e, secondo la tradizione ortodossa, prevedeva lunghe descrizioni dei genitali femminili e dell’apparato riproduttivo. Per cortesia nei confronti degli ospiti ortodossi, questa impostazione dovette essere tollerata.

Per tutta la sessione, un’agitata Gabriella camminava in su e giù dietro la fila delle cabine, che erano aperte sul retro, sibilando agli interpreti: “Saltalo! Saltalo!”. Non aveva nessun bisogno di preoccuparsi: la maggior parte di quelle cose erano totalmente al di fuori della nostra comprensione. Naturalmente, al contenuto della conferenza non ci si riferiva mai direttamente.

Nel luglio dello stesso anno, fui mandato a Roma per fare da interprete a una riunione di focolarini sposati. Anche se la sede era Villa Mondragone, nelle colline sopra Frascati, dove papa Giulio II, protettore di Michelangelo, una tempo si gustava la brezza estiva, il clima nel 1971 era soffocante. Ma le cose erano destinate a diventare ancora più calde. C’era una squadra maschile e una femminile di interpreti: gli uomini erano soliti lavorare la mattina e le donne il pomeriggio. Una mattina, comunque, don Gino Rocca, professore di teologia a Loppiano chiese agli uomini trattenersi per fare da interpreti suo discorso anche se era il turno delle donne. Non ci fu data nessuna indicazione su quello che doveva essere il tema del discorso, anche se quando venivano usati termini tecnici, come in questo caso, solitamente gli interpreti erano avvertiti in modo che si potessero preparare. Con mio grande orrore mi trovai improvvisamente a tradurre un discorso sul controllo delle nascite con descrizioni esplicite degli atti sessuali. Ero così turbato e così poco abituato alle parole che sentivo uscire dalle mie labbra, che il cuore cominciò a battermi all’impazzata e per poco non svenni.

Questa fu una delle rarissime occasioni in cui venne usato un linguaggio esplicito, ma solo per imporre la linea del movimento contro gli anticoncezionali. Questo, tra l’altro, permette una riflessione interessante sul ruolo delle donne nel Focolare: non era considerato appropriato che esse dovessero tradurre una conferenza di questo tipo.

Nei primi anni Settanta ebbe luogo una defezione che scioccò il movimento: il superiore e la superiora della “zona” tedesca se ne andarono per sposarsi. Sebbene su questa faccenda non ci fosse stato mai detto niente di ufficiale (non era un argomento da affrontare nei notiziari e negli aggiornamenti), si diffusero voci incontrollate. Una era che essi avevano affermato che stavano realizzando un’unità spirituale, una personificazione di Gesù di Maria. Un’altra, che essi erano soliti scambiarsi messaggi bussando leggermente alla parete divisoria delle loro camere adiacenti mentre partecipavano alle conferenze nel Centro Mariapoli Roma. Chiara Lubich non era presente alla cerimonia di matrimonio ma mandò una delle sue “prime compagne”.

La leadership del Focolare non imparò alcuna lezione da questo episodio. Invece di assumere un atteggiamento positivo di affrontare il problema delle esigenze emotive dei membri con una discussione aperta, irrigidì i divieti di contatto tra uomini e donne e la “distinzione” fu ulteriormente rafforzata. Le nuove regole stabilivano che i focolarini e le focolarine non potessero visitare gli uni i focolari delle altre e che non potessero mai viaggiare in macchina insieme, nemmeno per andare ad un meeting comune.

Tali atteggiamenti rivelano il modo di pensare dualistico proprio del movimento. Circa in questo periodo Chiara Lubich fece un paio di conferenze bizzarre sul pudore, una rivolta alle focolarine, l’altra ai focolarini. La nostra conteneva suggerimenti su come tenere unite le ginocchia quando eravamo seduti alla presenza di membri femminili, e ricordava i discorsi fatti nelle scuole religiose preconciliari su come le ragazze dovevano comportarsi in presenza di sacerdoti.

Il momento ufficiale di connessione fra le divisioni maschile e femminile del Focolare è al vertice, tra i rispettivi superiori di ogni zona. Rapporti di tensione a questo livello filtravano fino a noi: queste differenze di punto di vista erano almeno in parte dovute al fatto che gli uomini e le donne appartenenti al movimento vivevano in mondi completamente diversi. Nondimeno una volta sentii la teoria di un capo del movimento secondo la quale questi nostri superiori stavano lottando per delineare nuovi confini nei rapporti uomo-donna, proprio perché non c’era nessun legame emotivo tra di loro e questo avrebbe determinato (Dio solo sa come!) una nuova armonia tra i sessi. Ma ciò era tipico dell’approccio “disincarnato” del movimento, che nel momento stesso in cui imponeva una rigida segregazione, si esprimeva a favore dell’importanza di una visione di se stesso come un tutto, l’“Opera una”, ma questa unità era di tipo puramente spirituale.

Le posizioni antifemministe

A differenza degli altri nuovi movimenti, il Focolare è stato fondato da una donna e Chiara, insieme alle compagne che sono state con lei fin dall’inizio, è riconosciuta come la persona più importante. Tristemente questa condizione non si traduce in una revisione radicale del ruolo della donna nella Chiesa. Quando nel 1991 fu interrogata sulle sue conquiste come donna nella Chiesa, ella rispose:

Non mi sono mai soffermata sul fatto che sono una donna; fin dall’inizio.2

Ciononostante Chiara fece richiesta ed ottenne dal Papa la concessione unica che il presidente del Focolare, che ha autorità su tutte le divisioni compresi i sacerdoti, sarebbe sempre stata una donna.

Questa potrebbe sembrare una posizione femminista, ma in realtà, credo, che piuttosto che un contributo all’eguaglianza della donna, sia la migliore garanzia del mantenimento dell’ortodossia in futuro, un tentativo di Chiara Lubich di assicurarsi che non ci sarebbero stati cambiamenti alla struttura monolitica che ella aveva creato e che, in particolar modo, la sua dottrina non sarebbe mai stata “annacquata”, per usare una sua espressione. I membri donne, specialmente le “prime compagne” di Chiara, sono considerate, dopo tutto, come le più autentiche esponenti del “puro” Ideale.

Sull’argomento delle donne-prete, Chiara Lubich aderisce fermamente alla posizione di Giovanni Paolo II:

Esse non sono chiamate al sacerdozio [...] l’insegnamento della Chiesa è assolutamente chiaro su questo.

Crede che la donna cristiana debba invece imitare Maria e quindi che abbia

un diverso compito nella Chiesa, comunque importantissimo e indispensabile: deve affermare nell’unico modo che ha, il valore, il primato dell’amore su tutti gli altri tesori, su tutte le altre realtà che formano la nostra religione.

Certamente c’è un po’ di confusione su questo punto. L’amore è la virtù richiesta a tutti i cristiani, è la vera sostanza dell’esser cristiani: togli questo e non ne rimane niente. Dire che le donne sono chiamate ad amare aggira il vero problema, quello del potere, e gioca a favore di coloro che vorrebbero mantenere le donne nella Chiesa nel loro tradizionale ruolo di sottomissione.

Secondo la Lubich

la donna [è] già piena di un amore naturale che la porta a compiere ogni sacrificio.

Sicuramente le donne hanno qualcosa di più positivo da offrire, al di là dell’autosacrificio. Ella cita Hans Urs von Balthasar:

Maria è la Regina degli Apostoli senza pretendere poteri apostolici per se stessa. Lei ha qualcos’altro e di più.

Che cosa sia questo “qualcos’altro” viene lasciato all’interpretazione personale. Certamente le virtù considerate “mariane” all’interno del movimento sono la sottomissione, il silenzio, l’atteggiamento modesto: le “virtù femminili” tradizionali dell’antifemminismo.

Questo atteggiamento è confermato in un discorso intitolato “Maria - L’umanità appagata”, nel quale Chiara inveisce contro “la moda unisex”:

Questa moda vuol anche dimostrare l’uguaglianza, la parità tra i sessi, e questo va bene. Però c’è un sottofondo che non va in questa moda: c’è un voler confondere i sessi, una mescolanza che può voler dire qualcosa di assolutamente negativo. A questo dobbiamo andare contro. La Madonna era veramente il sesso femminile: era la donna. [...] In lei vengono in luce tutte le caratteristiche della femminilità: è proprio la donna che serve Dio con le sue doti specifiche, non volendo far la parte di un altro, ma facendo la sua piena, completa.

Quello che qui viene difeso così risolutamente è un punto di vista decisamente sessista dei “ruoli”.

Sebbene il Focolare insista di non avere alcuna uniforme (il sorriso è l’uniforme dei focolarini), incoraggia un’antiquata modestia, che per molti sarebbe esagerata, nell’abbigliamento delle donne. Questa è la cosiddetta “moda mariana”, che significa coprirsi il corpo almeno quanto sarebbe sufficiente a rendere rispettabile una donna in uno Stato musulmano fondamentalista. Una scollatura più profonda dell’altezza di un colletto è vietata, come lo sono le braccia nude e le gonne sopra le ginocchia.

A Loppiano ci fu raccontata una storia, uno degli aneddoti trionfalistici che abbondano all’interno del Focolare, sul periodo in cui Chiara e le prime focolarine arrivarono a Roma. Era estate e nei tardi anni Quaranta i vestiti senza maniche erano di moda, un piacere nella Città eterna che in alcuni mesi dell’anno diviene una fornace. Le focolarine contestarono questa moda impudica indossando abiti a maniche lunghe, ma esse divennero così numerose (ci fu detto) che cambiarono la tendenza della moda estiva a Roma e le maniche lunghe divennero la norma.

Alcune delle mode dei tardi anni Sessanta e dei primi anni Settanta (non le minigonne!) furono accolte dalle focolarine. Quando ero a Loppiano il look per le donne era indossare una blusa sopra i pantaloni a zampa di elefante, ma sfoggiavano tailleur-pantalone (una larvata moda unisex?). Le maxi furono le benvenute, naturalmente, e poi arrivò la svolta che ha influenzato la moda femminile del movimento da allora in poi: la midi, che fu accolta a braccia aperte. Le focolarine indossano sempre abiti costosi e di buon taglio, lo stile è sobrio e austero ma si preferiscono i colori vivaci. Non c’è bisogno di dire, come per tutte le altre cose, che Chiara Lubich è il loro modello. Ma la midi regna incontrastata. A tutte le riunioni del Focolare i membri femminili a tempo pieno possono essere identificate da questo, in quanto maggiormente impegnate rispetto alle donne delle altre divisioni.

La maggior parte delle focolarine va fuori a lavorare come fanno gli uomini, si dedicano a molte professioni diverse e alcune ricoprono cariche importanti. All’interno del movimento, comunque, la “distinzione” ha evidenti conseguenze sessiste: il ruolo di Chiara e delle donne è considerato spirituale, mentre il lato pratico, o “incarnazione”, è quello maschile. Quindi alla Mariapoli la capozona racconterà la “storia dell’Ideale” o come ha avuto inizio il movimento, mentre il suo equivalente maschile discorrerà sulle “opere” del movimento come, ad esempio, le piccole città. In modo simile sono distribuiti i compiti tra i sessi: le donne gestiscono i centri Mariapoli e si occupano delle faccende domestiche, dell’approvvigionamento e delle pulizie, mentre gli uomini hanno l’incarico di occuparsi delle varie edizioni della rivista “Città Nuova” e delle case editrici. Anche la gestione interna mostra stereotipi simili: a Loppiano le donne sono specializzate in lavori di artigianato, come il batik e la ceramica, mentre gli uomini svolgono lavori nell’industria leggera. Gli ambienti di lavoro, è ovvio, sono strettamente separati.

Sul matrimonio

Nel 1971 mentre facevo da interprete al congresso dei focolarini sposati, stavo in una lussuosa villa piena di fiori profumati, vicino a Frascati, che, allora, era il quartier generale mondiale del Focolare. Un focolarino sposato mi accompagnò là alla fine di una giornata e, appena prima di andarsene, mi confidò un pensiero che ovviamente sentiva il bisogno di comunicare:

Resta fedele ai tuoi voti - disse. - Ero un focolarino come te, ma non sono riuscito a rimanere fedele. Non ne vale la pena, solo per quei trenta secondi.

Partì lasciandomi scioccato e disgustato: il matrimonio era tutto lì?

Il Focolare, con l’invenzione dei focolarini sposati, afferma di avere dato al matrimonio una nuova dignità cristiana. Ciò che in realtà ha fatto è confermare il concetto tradizionale e preconciliare del matrimonio: una povera alternativa alla “vocazione”, cioè alla castità del sacerdozio o della vita religiosa. Per il movimento la castità ha un valore maggiore rispetto al matrimonio. La vocazione dei focolarini sposati è una specie di ibrido tra il matrimonio e la vita religiosa inventato da Chiara Lubich per il deputato democristiano Igino Giordani. Pur rivestendo cariche importanti da circa trent’anni, quando, nel 1948, incontrò Chiara, sentiva ancora che, come uomo sposato, era un cattolico di rango inferiore. Lui e Chiara erano così convinti di questo, infatti, da sentire la necessità di una “nuova vocazione”, qualcosa di diverso dal comune matrimonio cristiano.

Io penso che sia stata la Madonna ad inventare questa via, - disse Chiara nel 1963 - dato che questo nostro popolo [...] è sconsacrato, dissacrato, deve aver pensato a una strada per gli sposati per farsi santi ed è questa.

Il corollario di questa nozione è la conferma che il matrimonio come tale è uno stato inferiore. Chiara non si fa scrupoli su questo:

il terzo ramo io lo vedo una via (il terzo ramo, non parlo degli sposati) per farsi santi.

Le persone sposate in generale sono, quindi, escluse dalla perfezione cristiana, a meno che non diventino focolarine. Si esigono grandi cose dai focolarini sposati, che vengono considerati più come individui che come coppia; gli uomini, infatti, appartengono alla comunità maschile del Focolare e le donne a quella femminile. Sebbene vivano nelle loro case, ci si aspetta che passino più tempo possibile nel Focolare, compresa la partecipazione a tutte le riunioni della comunità, che si impegnino finanziariamente nel movimento e che osservino le sue regole sulla moralità sessuale come il divieto di ogni sistema di controllo delle nascite. Ma ancora più strana è la pretesa di controllare le emozioni dei focolarini sposati.

Ora il terzo ramo è questo: - dice Chiara - è aver rinunciato, aver tagliato (perché se non si taglia non si è seguaci di Cristo), a tutti gli affetti naturali, compreso quello della moglie, almeno aver capito che Dio va messo al posto della moglie ed averla riamata [...] (anche da fidanzati) per Iddio.

Dio deve essere ritenuto capace di racchiudere in sé il proprio impegno all’interno del movimento. Se ciò suona drastico, probabilmente è perché Chiara Lubich ha poco tempo per l’amore romantico: “Se è il Principe Azzurro quello che tu cerchi, vedrai dove andrai a finire”, dice a un gruppo di aspiranti focolarine; con grande piacere, descrive il destino dei focolarini celibi che scappano per sposarsi: “Dopo sette giorni che si sono sposati (quelli che lo fanno di nascosto, i popi del movimento) scrivono una lettera: Carissima Chiara, sono disperato, perché, perché... e mi scrivono in genere di notte, mentre lei dorme. Succede sempre così, vi assicuro. Uno di recente, venti giorni dopo. È disperato”.

Il suo consiglio per queste pecore nere è: “Ora prendi la tua croce sulle spalle”. Questa nuova concezione del matrimonio sembra consistere nel ridurre il più possibile il suo valore, piuttosto che nell’enfatizzare i benefici di quello che, dopo tutto, è uno dei sacramenti cattolici. Chiara racconta come sua sorella, la notte prima delle nozze, andò a trovarla, implorandola in ginocchio di permetterle di diventare una focolarina nubile, mentre il fidanzato aspettava fuori, distrutto. Chiara sentiva che la ragazza non aveva una vocazione alla castità e quindi le consiglio di andare avanti con il matrimonio: “Lo ricordo chiaro che ho detto: Tu non dire di sì a Paolo [il fidanzato] - io l’ho negato insomma - tu dì sì alla volontà di Dio”.

Poiché la Chiesa cattolica insegna che una coppia amministra il sacramento del matrimonio l’uno all’altra attraverso un accordo reciproco, anni dopo Chiara Lubich si fece scrupoli riguardo a questo episodio di ardore giovanile e si chiedeva se quello fosse stato un matrimonio valido. Ma le aspettative dei focolarini sposati non sono molto diverse: Dio deve sostituire le emozioni. Ci si aspetta che i focolarini sposati, se il coniuge muore, entrino permanentemente nella comunità del Focolare. Nonostante la linea ufficiale affermi che i focolarini sposati sono uguali ai casti in effetti non è così: questi ultimi occupano le posizioni di vero potere e hanno per gli altri membri un appeal che gli sposati non hanno. Tra i membri che hanno fatto voto di castità, c’è una ferma convinzione che il loro stato sia superiore. Visitando la comunità maschile di Londra, poco dopo che me ne ero andato, ma prima della rottura definitiva, ricordo che il capofocolare della comunità maschile ridicolizzava il matrimonio e considerava quelli che si sposano come dei “pazzi”. Questo era come minimo indelicato dal momento che a quel tempo mi era stato effettivamente detto dai miei superiori di sposarmi.

Vista la scarsa importanza data dal Focolare al coinvolgimento emotivo di una coppia sposata, sembrerà normale sapere che i matrimoni fra i membri vengono combinati. Naturalmente sposarsi tra persone che appartengono allo stesso gruppo sociale non è insolito e molti matrimoni che hanno luogo tra membri del Focolare possono essere spontanei e d’amore ma, per quanto riguarda le coppie da me conosciute, mi accorgevo di casi in cui c’era un elemento di coercizione e nei quali le persone coinvolte stavano andando contro i loro veri sentimenti.

Ma il movimento richiedeva ai focolarini sposati qualcosa di più del semplice martirio spirituale. Oltre a vietare ogni sistema di controllo delle nascite, anche la sterilizzazione, che va contro l’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica, è dichiarata illegale. A un incontro delle Famiglie nuove a Roma nel marzo del 1994 sentii una coppia raccontare la sua penosa esperienza: la moglie aveva avuto quattro gravidanze e altrettanti tagli cesarei, che avevano messo ogni volta in pericolo la sua vita. Descrissero la loro paura e il loro dolore ogni volta che scoprivano una nuova gravidanza e come, malgrado ciò, si fossero opposti ad ogni consiglio dei medici e avessero rifiutato la sterilizzazione. Il marito, che è medico, descrisse il taglio cesareo per il loro quarto figlio, al quale aveva assistito. Il chirurgo suggerì di eseguire la sterilizzazione senza indugio, il marito si intenerì ma, qualche attimo prima che fosse eseguita, cambiò idea e ritirò il suo permesso. Mentre gioiva per i figli che aveva, la coppia viveva chiaramente nel terrore di un’altra gravidanza. La loro pena era palpabile. Ci si potrebbe ben chiedere che tipo di amore pratichi il movimento se può chiedere tanto ai suoi membri sposati. Forse se non fosse così dominato da chi ha fatto voto di castità mostrerebbe più compassione.

Un’evidente omissione nel nostro piano di studi a Loppiano era un qualsiasi tipo di guida relativa ai consigli e alla cura pastorale. Tanto è vero che, quando feci l’anno di tirocinio postlaurea per insegnanti, mi imbattei per la prima volta nella parola “pastorale” e non sapevo che cosa significasse. Sebbene, come focolarini, noi fossimo costantemente avvicinati per dare consigli su un’intera gamma di problemi personali, molti dei quali di tipo sessuale, non solo non sapevamo assolutamente nulla su come dare aiuto, ma eravamo totalmente all’oscuro degli argomenti sui quali venivamoin terrogati.

Ricordo di essere rimasto profondamente turbato e confuso quando un inquieto giovane, al suo primo incontro con il movimento, mi raccontò le sue traumatiche esperienze omosessuali che comprendevano un barbarico corso di “terapia dell’avversione”. Peggio ancora, non potevamo nemmeno discutere di queste faccende con altri membri della comunità o con i nostri superiori, semplicemente perché di certe cose non si parla. I leader del movimento ritenevano che non ci servisse nessun tirocinio in questo campo e favorivano decisamente il metodo dello struzzo: se non sapevamo niente riguardo agli aspetti problematici dell’esperienza umana, c’erano buone speranze che non li sperimentassimo mai di persona. Ma ancora più importante era la convinzione assoluta che in ogni situazione, se ci “svuotavamo” (cioè, se smettevamo di pensare) lo Spirito Santo ci avrebbe ispirato la risposta perfetta.

Un giovane Gen brasiliano, sui quindici-sedici anni, visitò il Centro Mariapoli inglese quando io ero responsabile del Gen del Regno Unito e dell’Irlanda. Mi avvicinò una mattina prima della messa in uno stato di estrema agitazione e mi disse che si era masturbato la notte prima; avrebbe potuto fare la comunione o avrebbe dovuto cercare un prete e confessarsi? Questa ammissione mi turbò profondamente e non avevo per niente idea di quale consiglio dargli. L’unica volta che avevo udito nominare la masturbazione all’interno del movimento fu nel caso di un focolarino che, costantemente assalito dalla tentazione di abusare di se stesso, chiese ai suoi compagni della comunità di legargli le mani dietro la schiena. Questa non mi sembrava una soluzione molto pratica nelle circostanze pubbliche della Mariapoli e quindi farfugliai qualche banalità.

Non eravamo mai a corto di risposte. Per esempio, eravamo convinti che chiunque avesse attraversato i confini di Loppiano, come per magia avrebbe trovato la soluzione a tutti i suoi problemi. Che il fallimento fosse inammissibile è illustrato da un episodio bizzarro capitatomi il primo anno che ero là. Un pomeriggio, mentre stavo scartavetrando portatovaglioli, uno dei capi introdusse un giovane italiano nei nostri laboratori. Mi fu presentato come Bianco, doveva avere circa venti anni; veniva da una città vicina e avrebbe trascorso qualche giorno con noi. Io avrei dovuto essere il suo “angelo custode”.

C’era qualcosa di strano nel ragazzo. A parte il fatto che sembrava riservato, trovò grandi difficoltà a capire come funzionava il lavoro, che in realtà era incredibilmente semplice. Mi sommergeva di infinite domande sulle tecniche usate per scartavetrare portatovaglioli e sembrava aver bisogno di continue rassicurazioni. Ma io sapevo di non dover giudicare e pazientemente passai il pomeriggio a insegnare e correggere. Dopo il lavoro andammo a messa e Bianco rimase devotamente attento. In quel periodo la mia comunità viveva in uno chalet a una certa distanza dal quartiere maschile di Campogiallo; dopo aver raccolto il cibo dalle cucine comuni, attraversavamo con un minibus le buie strade di campagna che portavano al nostro chalet. Bianco doveva cenare con noi.

La messa sembrava averlo risollevato dal suo stato semi comatoso, ma durante il viaggio cominciò ad agitarsi sempre più. Prese a parlare di un libro spirituale famoso a quel tempo Il Dio che viene [1971] di Carlo Carretto. “Sta venendo” mi bisbigliò. “Dio sta venendo”. Si rivolse all’autista e disse “Ferma il pulmino”. In un lampo era fuori per la strada e si riusciva a vederlo nella luce dei fari allontanarsi di corsa, gesticolando selvaggiamente. Cominciai a pensare che c’era veramente qualcosa che non andava. Saltai fuori e lo afferrai. “Dio viene” mi gridò. “Andiamo ad incontrarlo!”. Mi afferrò la mano, nella quale stringevo le chiavi della nostra casa, me le strappò e le gettò nel buio delle vigne. “Lascia gli altri. Vieni con me. Io sto per incontrare Dio, Dio che sta venendo”. Mi teneva il polso stretto in una morsa di acciaio e mi trascinò ancora con sé. Dopo circa mezzo miglio mi lasciò andare e scomparve nell’oscurità. “Lui sta venendo! Sto per incontrarlo! Il Dio che viene!”. Le sue grida echeggiavano fra le colline, indebolendosi lentamente.

Da quel momento i suoi genitori, che dovevano essere ancora a Loppiano, furono messi in allarme, alla fine riuscirono a trovarlo e lo trascinarono via in camicia di forza. Nessuno aveva pensato di avvertire quelli di noi che si sarebbero occupati di lui che Bianco soffriva di una forma grave di mania religiosa, si dava per scontato che i suoi problemi sarebbero scomparsi magicamente. Loppiano probabilmente era l’ultimo luogo della Terra nel quale avrebbero dovuto portarlo.

Inutile dire che questo episodio fu dimenticato velocemente. Ci crogiolavano nel successo ed ignoravamo il fallimento. Non ci è mai accaduto niente per cui dovessimo rivolgerci ad esperti, come avvocati o dottori; non ci saremmo certamente mai rivolti ad un sacerdote esterno al movi mento: l’“Ideale” era la risposta.

Il guaio, come dovevo con grande pena scoprire solo più tardi, era che i “grandi” e i “buoni” del movimento non erano più preparati di noi, sebbene fossero di gran lunga più pronti con soluzioni assolute e fuorvianti.

La cura per l’omosessualità

Che la “cura pastorale” irresponsabile e fuorviante del Focolare possa gravemente danneggiare e quasi distruggere la vita di quelli che sono completamente alla sua mercè fu dimostrato dal caso di Valentino. Parti dal suo Paese del Sudamerica per Loppiano a metà degli anni Sessanta, quando aveva diciotto anni. A quel tempo non aveva intenzione di fare il focolarino a tempo pieno ma, cosa che comportava un minore impegno, il volontario, che vive nella propria casa ed è libero di sposarsi. L’euforia di Loppiano, allora nel pieno vigore dei primi anni dopo la fondazione, e la pressione di un gruppo di giovani desiderosi di diventare focolarini (il tirocinio era orientato tutto in quella direzione) lo portò a credere che anche lui fosse chiamato ad essere uno di loro. A ventun anni lasciò Loppiano per una comunità in una città europea. Lontano da quell’atmosfera rarefatta, immerso in una vita stressante di lavoro giornaliero e di attività missionaria, ed esposto alle influenze di una città moderna, i sentimenti, che pensava fossero scomparsi o per lo meno sopraffatti dal suo nuovo modo di vivere, iniziarono a riemergere.

Da quando aveva circa dieci anni, aveva provato desideri omosessuali, ma non li aveva mai assecondati. Quando decise di scegliere una vita di castità pensò che quel capitolo della sua vita fosse chiuso. Ma non lo era! Si sentiva fortemente spinto ad incontrare altri come lui ma, vivendo in un ambiente nel quale il tema del sesso e della sessualità erano tabù e avendo preso, temporaneamente, i voti di castità, era lacerato e confuso. Egli delineò questa situazione ai suoi superiori che gli consigliarono di “amare Gesù abbandonato”. In una visita alla sua “zona”, Chiara Lubich si incontrò privatamente con ogni focolarino per parlare dei loro progressi spirituali. Valentino, convinto che la fondatrice avrebbe avuto la soluzione per il suo problema, decise di sfogarsi con lei. Chiara sembrò essere comprensiva, parlò addirittura delle proprie prove spirituali. Gli disse che egli non poteva fare a meno dei propri sentimenti, ma decise, comunque, che doveva lasciare la “zona”, dove stava da tre anni, e ritornare per un periodo a Loppiano dove avrebbe avuto un aiuto psichiatrico. Fece un unico altro rilievo, che sarebbe però rimasto fissato nella mente del ragazzo per i successivi venti anni. Dette anche severe istruzioni che egli non discutesse del suo “problema” con nessun altro del movimento (questa era la pratica normale) e lo spinse a scriverle in qualsiasi momento. Tenendo in mente la condizione semidivina della fondatrice all’interno del movimento, Valentino fu comprensibilmente incoraggiato e rassicurato. Forse i suoi problemi stavano finendo.

Valentino trovò Loppiano cambiato: molti corsi erano iniziati e finiti da quando c’era lui e quindi non conosceva nessuno. Il villaggio veniva adesso usato come una specie di prigione aperta per i focolarini che avevano “difficoltà”. Quelli, cioè, che non potevano essere integrati nelle piccole comunità del Focolare venivano scaricati lì e dimenticati. Avrebbero trovato più difficile scappare da un luogo così remoto se mai ne avessero avuto l’intenzione. Non che questa fosse una possibilità per Valentino che era senza soldi e con una casa al di là dell’oceano. Con la sua scuola per focolarini, Loppiano era principalmente per una nuova stirpe, non per falliti.

Valentino si sentì ancora più isolato e depresso di quanto si fosse sentito nella comunità del Focolare. Fu mandato da uno psichiatra di fiducia del movimento: la cattiva notizia fu che Valentino era ammalato, la buona che poteva essere curato. Il dottore fece risalire il suo “problema” al fatto che era stato “disturbato” quando era adolescente e il trattamento raccomandato fu drastico: la “cura del sonno”. Per un periodo di alcuni mesi doveva prendere sonniferi per la notte, alzarsi la mattina, fare colazione e poi prendere un’altra dose di pillole e dormire tutto il giorno. La teoria era che il sonno avrebbe cancellato i ricordi infantili e con essi le “tendenze” omosessuali. Iniziò così un doloroso e costoso pellegrinaggio di venti anni da uno psichiatra all’altro alla ricerca di una cura. Quando la “cura del sonno” non ottenne risultati, Valentino fu mandato da altri psichiatri compreso uno che aveva curato la stessa Chiara Lubich. I problemi però si aggravarono e basta ed egli cominciò a soffrire di depressione. Sopraffatto da paure irrazionali, credeva perfino di essere posseduto dal demonio. Il superiore dei focolarini in quel periodo, Giorgio Marchetti, conosciuto nel movimento come Fede, decise che siccome Valentino non faceva nessun progresso, doveva essere rimandato alla sua “zona” di origine, in Sudamerica. Valentino restò di sasso di fronte alla compiaciuta e condiscendente osservazione di congedo di Fede: “Beh, abbiamo fatto tutto il possibile per te”. Egli non ritornò alla propria città, ma andò ad abitare in un’altra vicina, dove non visse all’interno della comunità del Focolare ma come focolarino esterno. Il Focolare gli fornì una sistemazione in un appartamento in comune con un altro “esterno” e continuò a pagare l’aiuto psichiatrico che aveva lo scopo di “curare” la sua omosessualità. Ora che non viveva più a tempo pieno in un ambiente del movimento poté fare i suoi primi incontri sessuali. Il focolarino sacerdote che guidava la “zona” disse che gli incontri casuali potevano essere perdonati, ma che egli non avrebbe dovuto in nessun modo impegnarsi in un rapporto, poiché ciò avrebbe reso permanente il suo peccato. Una sera, mentre tornava a casa, Valentino visitò il Focolare. Il capo lo prese da parte e gli disse che c’era stato un problema nel suo appartamento. Con la loro caratteristica segretezza, gli avevano nascosto il fatto che il suo compagno di stanza era uno schizofrenico e che era essenziale, per il suo equilibrio, che facesse cure regolari. Se Valentino lo avesse saputo avrebbe potuto controllarlo. Era andata così: il compagno di stanza aveva completamente perso il controllo di sé e aveva sfasciato l’appartamento e distrutto le poche cose che Valentino possedeva e che era riuscito ad accumulare da quando aveva lasciato il Focolare, compreso l’oggetto che gli era più caro, una macchina da scrivere. L’episodio simboleggiò la definitiva rottura con un passato che era durato anche troppo a lungo. A poco a poco Valentino cominciò a prendere il controllo della sua vita: aveva esperienza come traduttore e si laureò in lingue. I suoi legami con il Focolare si allentarono. Forse era anche giunto il momento di dare una svolta alla sua omosessualità poiché, dopo anni di psicoterapia, la famosa “cura” era ancora da trovare.

L’opportunità di un nuovo inizio si presentò quando, a metà degli anni Ottanta, gli fu offerto un posto negli Stati Uniti, e quindi l’opportunità di avere indipendenza finanziaria in un momento in cui il suo Paese stava attraversando una profonda crisi economica. Finalmente il cordone ombelicale con il Focolare, che lo aveva tenuto legato per così tanto tempo, fu reciso. Forse la distanza dalla famiglia e dai vecchi amici gli avrebbe dato la libertà di costruirsi un rapporto affettivo. Comunque, sebbene negli Stati Uniti egli avesse cominciato ad andare da uno psicologo più comprensivo, non poté scrollarsi di dosso l’influenza del movimento. In particolare egli si sentiva ancora legato a Chiara e continuava a scriverle e a ricevere occasionali risposte. Questa dipendenza suggeritagli da lei stessa (“non parlare con nessun altro”) era paradossale, considerando il fatto che, come abbiamo visto, lei era praticamente inaccessibile di persona o per posta a causa della congrega di persone che la circondava. Soprattutto Valentino era ossessionato da un rilievo che Chiara gli aveva fatto in quella conversazione di quindici anni prima, quando, dopo avergli assicurato che non avrebbe dovuto biasimarsi per i suoi sentimenti e che non si poteva ritenere responsabile di quella sua tendenza, aveva aggiunto:

Comunque preferirei che ti mettesse sotto una macchina piuttosto che commettere un atto omosessuale.

Nonostante ogni tentativo e nonostante l’aiuto di un terapeuta, Valentino non riusciva a scrollarsi di dosso l’ossessione di queste parole né l’ordine di non allacciare alcuna relazione. L’unica alternativa era la promiscuità e così nel 1986 Valentino scoprì di essere sieropositivo.

Dieci anni dopo Valentino è ancora in salute, vive una lunga relazione ed il suo stato di sieropositività lo ha aiutato a sfuggire l’influenza invadente del Focolare. Nel 1992 ha parlato di nuovo con il focolarino sacerdote che guida il movimento nel suo Paese. Quando gli ha detto della sua sieropositività e della sua relazione, il sacerdote ha assunto un tono molto più mite rispetto a prima, incoraggiandolo ad andare a confessarsi da un simpatico sacerdote e invitandolo a non evitare di ricevere il sacramento. Ma questa preoccupazione pastorale era pateticamente di poco valore e giunta troppo tardi.

Il rozzo approccio del Focolare alla questione dell’omosessualità si può vedere anche in un libro di domande e ri sposte sui problemi morali recentemente scritto da quello stesso don Gino Rocca che nel 1971 mi chiese di tradurre ai focolarini il suo discorso sul controllo delle nascite.3 Si parla ancora di “curare” l’omosessualità, un concetto abbandonato dalla maggior parte degli psichiatri oltre venti anni fa. Rocca fa una distinzione fra due tipi di omosessuale: ci sono “gli omosessuali occasionali, il cui comportamento, come lascia capire la parola, deriva da un’educazione errata, da abitudini contratte, da cattivi esempi, da influssi ideologici oppure dall’ambiente esterno (collegi, caserme, carceri, ecc.). Essendo legata a condizioni esterne, può essere curata abbastanza facilmente”. Poi, secondo Rocca ci sono quelli “esclusivamente omosessuali” che sono vittime di una “costituzione patologica”:

[Questo tipo] essendo legato a condizionamenti interni assai profondi, è giudicato dagli specialisti inguaribile, nel senso che la guarigione è molto più difficile, ma non impossibile.

Perfino il Vaticano nei suoi recenti documenti omofobici non si è spinto così oltre da suggerire “cure” per i gay; ciò potrebbe benissimo essere dovuto al fatto che è meglio informato e sa che pochi psichiatri danno ancora credito a questa idea. L’eminente psichiatra cattolico Jack Dominian nel suo testo del 1987, Sexual Integrity4, osservava che

Le mode dei trattamenti vanno e vengono ma non c’è nessun modo acquisito di rovesciare le tendenze omosessuali.

Egli aggiungeva un commento che Rocca farebbe bene a prendere in considerazione:

In verità quando le pressioni sociali, legali e morali recedono, gli esclusivamente omosessuali non hanno nessun desiderio di cambiare il loro orientamento.

L’analisi di Rocca sull’omosessualità rivela la visione dualistica del movimento di una natura umana suddivisa in naturale e soprannaturale. Il Focolare affermerebbe che “l’unità”, cioè “l’amore soprannaturale”, perfino quella tra persone dello stesso sesso, sta su un piano più alto rispetto al sentimento “umano” come è quello tra marito e moglie. Abbiamo visto come sia minimizzato l’amore romantico nel matrimonio. Sebbene ora ci venga detto che il matrimonio “tra uomo e donna [è] la comunione più piena e profonda che esiste a livello naturale”.

Quel “a livello naturale” è la condizione essenziale. Chiaramente secondo la prospettiva del Focolare la natura umana può essere divisa in compartimenti che permettono di tenere in considerazione diversi livelli di “comunione totale e profondissima”. Rocca continua a evidenziare nell’omosessualità la mancanza dell’aspetto procreativo (essenziale nella visione cattolica). Quindi “il rapporto omosessuale è radicalmente privo, anzi contraddice a queste due componenti essenziali dell’amore-dialogo voluto da Dio”. Proprio per sottolineare questo punto Rocca aggiunge: “del resto, questo viene confermato dai limiti seri che, secondo le osservazioni degli esperti, caratterizzano l’amicizia omosessuale”.

Contraddicendo completamente la linea del Focolare, Jack Dominian crede che:

Per molti omosessuali maschi quello di formare e mantenere una relazione stabile può essere lo sforzo più vigoroso verso la maturità, l’interezza e la santità [...]. Mi piacerebbe spostare maggiormente lo sforzo pastorale verso le relazioni stabili.

Per inciso, sembra che per don Gino Rocca, come per la regina Vittoria, le lesbiche non esistano, poiché non sono mai state specificamente menzionate nel suo libro.

Fonte: Gordon Urquhart, Le armate del papa, Ponte alle Grazie, Firenze 1995, pp. 277-301 (traduzione di Irene Geronico e Gloria Gordigiani).

1. [Chiara Lubich, “Discorso ai dirigenti Gen (dicembre 1972)” in Città Nuova, n. 17, 1973, pp. 9-10].
2. [Chiara Lubich, Una famiglia per rinnovare la società, Città Nuova, Roma 1993, p. 15].
3. Gino Rocca, Coscienza, libertà e morale, Città Nuova, Roma 1992.
4. Jack Dominian, Sexual Integrity. The Answer to AIDS, Darton, Longman & Todd, Londra 1987.

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