Testimonianze

L’intreccio mortale tra psicologia, religione, potere del gruppo e fondatrice

UN EX FOCOLARINO CONSACRATO

Il mio punto di vista e di partenza è l’uscita dal Movimento e dalla sezione dei focolarini dopo più di vent’anni di vita comune; le mie considerazioni nascono perciò dalla riflessione e dalla personale autoanalisi scaturita da un’osservazione duplice e doppiamente inquietante. La prima è: come è stato possibile per me maturare, dopo tanti anni nei focolarini, un atteggiamento di totale estraneità nei confronti non solo della struttura istituzionale del Movimento, ma anche della sua spiritualità, seguita e approfondita a lungo con sincera passione e coinvolgimento? Come e perché è possibile passare da una percezione gioiosa e positiva della spiritualità e della vita del Movimento a una vera e propria “liberazione”, lasciandolo per approdare a una rivoluzione concettuale e pratica a 360°?

Il mio intento nel concedere questa testimonianza non è guidato da una volontà di “vendetta” né dal risentimento, avendo già manifestato e argomentato le mie riserve con una critica costruttiva al centro del Movimento dei Focolari, direttamente con la presidente e col co-presidente, ma da una sincera ricerca di verità e di discernimento ecclesiale, consapevole che se la mia personale uscita dal Movimento è stata accompagnata da persone che mi hanno aiutato e da una situazione oggettiva di lavoro e di affetti che mi ha permesso di rielaborare positivamente la mia vicenda, sono molte, troppe le persone che, dentro o fuori il Movimento, non hanno avuto tali strumenti o aiuti, con conseguenze a volte molto pesanti, fino al suicidio. Questa è la motivazione etica che mi spinge a collaborare a questa inchiesta.

Le risposte che mi sono dato e che via via ho vagliato, verificato e valutato, anche e soprattutto durante la mia permanenza nel Movimento come membro interno e poi come focolarino, sono state molte e interconnesse tra loro, tutte però fondate sull’ipotesi che fin dagli inizi il Movimento, accanto e proprio in virtù di importanti valori, sviluppa la sua essenza settaria ad intra, accompagnata dal costante sforzo di occultare, cambiare, trasformare e riscrivere la propria storia. Nel mio racconto non ci sono demonizzazioni, complotti, toni “noir”, niente di tutto questo, non ce n’è bisogno, perché la storia è molto più interessante della fiction e la storia del Movimento dei Focolari e della sua fondatrice è una storia che contiene molte delle passioni, delle belle idee e dei crimini del nostro secolo, grandi ideali e tradimenti istituzionali, desiderio di autenticità ed eterogenesi dei fini, comunismo, femminismo, laicato cattolico, politica e fede, il tentativo di “risacralizzare” il mondo nell’epoca della società di massa e molto altro. Questo contributo è solo un tentativo di lettura complessiva e certamente più distaccato, non più solo spinto da motivazioni personali che ho già avuto modo di esprimere ai più alti dirigenti del Movimento fin quando ne ho fatto parte, come tentativo estremo di capire se ci fossero spazi e possibilità di cambiamento della deriva settaria in questione.

Le presunte persecuzioni subite da Chiara

Il Movimento è stato il primo e più antico dei movimenti ecclesiali1, i suoi inizi precedono il Concilio Vaticano II e questo spiega molto dei suoi esordi e soprattutto della necessità di creare due livelli di comunicazione, uno ad intra dominato da dinamiche settarie, uno ad extra per riuscire a farsi accettare dalla Chiesa e dalla società. Tornando alla dimensione temporale, il Movimento ha avuto molto più tempo degli altri per poter riscrivere la propria storia interna cancellando e riadattando episodi fatali, che si concentrano a mio parere negli anni dal ’49 alla prima approvazione ad experimentum del ’62.

Il periodo del ’49 viene vissuto da Chiara Lubich sullo sfondo di due dimensioni cruciali: le prime critiche subite a Trento e l’idea già formulata di approdare a Roma per portare il nuovo ideale in tutta Italia e oltre. Lo dimostrano la lettera del cardinale De Ferrari come “lasciapassare” e presentazione delle Focolarine, e l’incontro alla Camera dei deputati con Igino Giordani, entrambi del 1948. Non mi concentro qui sui contenuti e le dinamiche del ’49, ma quel che è evidente è che la “discesa dal Paradiso” coincide con le prime “persecuzioni” serie ricevute da ambienti della Chiesa, in mano dei quali erano arrivate alcune delle pagine del ’49, probabilmente proprio quelle criticate molti anni dopo dallo studio del gesuita belga, padre Hennaux, perché davvero imbarazzanti dal punto di vista teologico e morale. L’ordine di distruggere le pagine del ’49 partito da Chiara non si capisce in altro modo.

Chiara vittima?

L’esperienza di Chiara del ’49, vissuta da una ragazza di ventinove anni certamente non esperta di teologia e con un anno di Filosofia sulle spalle, ma dominata da una fortissima percezione di essere stata scelta per una nuova comprensione del cristianesimo, deve essere stata straordinaria ma anche un peso terribile da portare. Il gruppo delle prime compagne, che già aveva coltivato nei primi anni della nascita del Focolare una totale identificazione tra Chiara e “la voce di Gesù in Mezzo”, dopo lo studio da parte della Chiesa si è chiuso attorno alla giovane fondatrice in modo totalmente acritico, fusionale, totalizzante: il gruppo fondatore — tutto al femminile da subito, poi seguito anche da membri maschi — ha vissuto quelle rivelazioni dapprima in modo “euforico”, come un dono enorme, ma subito dopo ha capito che si trattava di un tabù, in quanto la Chiesa lo aveva immediatamente messo sotto studio.

Le difficoltà psicologiche e umane di Chiara Lubich

A partire dal ’51 Chiara viene studiata dal Sant’Uffizio, sotto segreto si reca per essere interrogata ogni giorno, non può dire dove va alle Focolarine, che son costrette a pedinarla e scoprire così la verità. Un trauma terribile per Silvia/Chiara, che a mio parere subisce un colpo dal quale mai più si riprenderà. La depressione che la colpirà poi ciclicamente nasce ora. Il gruppo si stringe attorno a lei ancora di più e la depressione viene letta e interpretata come “triplice notte”, leggendo Giovanni della Croce e poi santa Teresa d’Avila, e quindi l’autopercezione di santità mette radici solide: la prima a non potersi fidare della Chiesa è proprio lei e questo è troppo per la struttura psicologica di una ragazza trentina sinceramente e profondamente cattolica. È qui a mio parere che nasce l’intreccio davvero mortale tra psicologia, religione, potere del gruppo e fondatore: Chiara dà al gruppo la certezza di essere scelta da Dio per una fondazione; il gruppo appoggia incondizionatamente Chiara, rafforzando la propria autopercezione, escludendo a priori e per principio di aver bisogno del discernimento della Chiesa, o per lo meno non capisce pienamente la necessità del discernimento ecclesiale e non si comporta di conseguenza. Da qui la mancata distruzione delle carte del ’49, mai veramente attuata.

Tali carte vengono prima custodite da Igino Giordani in una cassetta di sicurezza a Roma — mi è stato detto — e poi rilette e riprese da Chiara stessa e dalle prime Focolarine e dai focolarini prima e dopo la prima approvazione del ’62 da parte di Giovanni XXIII. La crescita molto forte del Movimento in quegli anni rafforzò nel gruppo fondatore la certezza della provenienza divina della “visioni intellettuali” avute da Chiara, tanto che tali carte sono circolate, seppur sotto “segreto”, e comunicate solo alle persone più interne come il patrimonio più segreto, di cui non si potevano fare copie, né citare in pubblico. Un vero e proprio tabù posto a fondamento del gruppo. Altresì, l’essere messi a parte “delle cose del ’49”, era visto come una “promozione” di ruolo per chi — solo pochi — poteva aspirare a far parte dell’”Anima”, non per tutti, quindi...

Vittimismo e meccanismo settario

In questo senso parlo di una posizione vittimista di Chiara e il meccanismo settario — involontariamente — è già all’opera, rafforzato dalla sensazione di essere dentro “il numinoso”, il sacro, che va difeso e non può essere nominato e maneggiato con strumenti mondani. I miei formatori, narrando i fatti della fondazione “dei primi tempi”, raccontavano che, riferendosi a “Gesù Abbandonato”, figura creata dalla Lubich che era stata criticata da un francescano, dei primi che facevano da assistenti del primo gruppo di compagne di Chiara, ancora terziarie francescane, pare che la Lubich abbia esclamato piangendo: “Hanno fatto così di Gesù Abbandonato”, commentando l’esclamazione con il gesto di buttare via un pezzo vecchio. Il patrimonio del ’49 diventa così un tabù che fonda sia l’autocomprensione di Chiara sia la forza e la determinazione del gruppo: come tale va difeso, occultato, non rivelato.

I valori positivi del Movimento

Su quali presupposti Chiara e il gruppo fondatore cementarono la loro convinzione, che non esito a leggere in “buona fede”, senza motivazioni opache di carattere economico, sessuale o altro, come avvenuto in casi clamorosi come quello dei Legionari di Cristo? La mia tesi è che tali presupposti siano elementi innovativi e valori importanti per la storia della Chiesa del ’900, e cioè:

a) la posizione della donna nella Chiesa e nella società;
b) la posizione del laicato cattolico;
c) la “riforma della Chiesa”;
d) il rapporto tra “sacro” e “mondano”, cioè il tentativo di una “risacralizzazione del mondo” proprio in piena era di secolarizzazione.

Elementi di fondo che il Movimento condivide con la Chiesa e la società e che costituiscono valori importanti e “positivi” che però, sul piano dell’ortoprassi, sono stati abbondantemente disattesi, stravolti e, così mi pare, svuotati della loro novità. Abbiamo detto che il primo gruppo era costituito da sole donne: non si tratta di un caso, ma di un momento favorevole che Chiara e le prime compagne colsero, a mio parere all’inizio senza una consapevolezza e una lettura “femminista”, peraltro legittima. In seguito alle cosiddette rivelazioni del ’49 si è creata una identificazione tra Chiara Lubich/gruppo fondatore (denominato in senso collettivo “Anima”) e la figura di Maria, tanto profonda e radicata nella autopercezione dei soggetti in questione da costituire il nome stesso di Opera di Maria, con la quale i papi da Paolo VI a Giovanni Paolo II hanno approvato gli Statuti generali. Non è mancato un tentativo di giustificare teologicamente tale “profilo” utilizzando l’interpretazione di Urs von Balthasar sul “profilo mariano” della Chiesa, interpretazione ripresa poi dal cardinale Ratzinger, invitato da Chiara stessa a parlarne ai dirigenti del Movimento negli anni ’90, in fase di approvazione definitiva degli Statuti generali e negli anni successivi.

L’incontro di Chiara con Igino Giordani

L’altra novità è il posto del laicato cattolico, “rappresentato” da Igino Giordani, coniugato e notissimo esponente della Dc, padre costituente che si unisce al gruppo fin dentro la pretesa dimensione mistica del ’49. Giordani viene incontrato già nel ’48 a Roma, in un incontro in parlamento, presentato a Chiara da De Gasperi, che lei voleva coinvolgere nella sua “crociata per l’Unità”: il puntare al presidente del consiglio (trentino anche lui) la dice lunga sulla fiducia di Chiara riguardo alle proprie intuizioni e motivazioni, rafforzate dall’approvazione da parte del vescovo De Ferrari (il noto “qui c’è il dito di Dio”) che certamente fu la spinta per il primo gruppo di Focolarine a partire “alla conquista di Roma”. L’incontro con Giordani è per Chiara una prima conferma esterna al gruppo fondatore, che cementa la consapevolezza della missione e soprattutto la percezione “mistica” di Chiara (”voi non sapete chi è Chiara diceva sempre Giordani alle prime Focolarine). Gli scritti del ’49 vengono custoditi proprio da Giordani.

I nodi problematici del Paradiso ’49

Uno sguardo d’insieme sui contenuti del Paradiso ’49, può in questo luogo essere solo estremamente sintetico; si rimanda per questo al testo completo delle trascrizioni ancora inedito che circolava negli ambienti più interni, le cui trascrizioni ho fornito alla congregazione dei santi in data 1° febbraio 2020. Tale testo, molto ricco e variegato, si incentra su tre “personaggi” principali delle presunte rivelazioni: l’Anima, Gesù in Mezzo e Gesù Abbandonato. Il primo termine si riferisce al primo gruppo di compagne riunite durante le estati del ’49, ’50 e ’51 a Tonadico. Un gruppo che narra per voce di Chiara Lubich indirizzando le sue rivelazioni a Igino Giordani che, conosciuto l’anno prima, doveva e voleva essere “aggiornato” e informato di ciò che lì avveniva e si comprendeva.

Chiara dice che la “preparazione” per entrare in Paradiso era incentrata su tre dimensioni: la vita della parola, la partecipazione all’Eucarestia e l’amore al fratello per fare Unità, espressione che in questo caso significa il totale silenzio e annullamento di ogni intelligenza individuale, volontà e memoria (adoperando e adattando il concetto della “triplice notte di san Giovanni della Croce” in modo a mio parere molto pericoloso, oltre che sostanzialmente sbagliato) per permettere al “centro dell’anima” ovvero Chiara Lubich, di poter ricevere le rivelazioni in serbo per loro.

L’anima viene anche denominata “candida rosa” con un termine mutuato da Dante. Chiara riceveva tali rivelazioni dopo l’Eucarestia (ma non solo) ricevuta da tutte, in un ringraziamento che era vissuto come silenzio totale e annullamento di “mente, corpo e immaginazione” di tutte le presenti, mentre la fondatrice riceveva tali rivelazioni, sovente narrative. Il “viaggio in Paradiso” è una sorta di rivelazione che Dio fa all’Anima per svelarle non solo tutto il Paradiso, ma anche l’Inferno, chi sia Gesù Abbandonato e chi sia l’anima stessa, ovvero, verso la fine dell’estate, la Madonna stessa. Altri testi del ’50 e oltre intendono delineare le conseguenze di tale comprensione sulla Chiesa e sul Movimento nascente: il profilo mariano di cui il Movimento si sente interprete. Già qui si intravede quello che padre Jean-Marie Hennaux, professore presso la facoltà gesuita di Teologia a Bruxelles, ha evidenziato nel suo studio su una pagina del ’49, ovvero un fondamentale assorbimento della nozione di Unità e della presenza di “Gesù in Mezzo” nella persona della Lubich, essendo “il centro dell’anima” con le modalità sopra descritte. Le molte e diverse applicazioni pratiche di tale atteggiamento possono essere diretta conseguenza di abusi morali, psicologici o anche altro. Da notare che tale atteggiamento non è una novità assoluta del ’49. Già negli appunti dei discorsi che Chiara teneva nel ’46 in “sala massaia” alle terziarie francescane, di cui faceva parte assieme alle prime Focolarine, ci sono i prodromi di quello che nel ’49 diverrà un vero e proprio “metodo” del fare Unità, ovvero annullare la personalità come prerequisito per “costruire Gesù in Mezzo”.

Da una analisi “letteraria” del testo, stupisce la totale assenza di una dimensione allegorica, nel senso della tradizione patristica: il linguaggio certamente immaginifico pur nella sua sobrietà manifesta anzi la consapevolezza di non aver bisogno di essere interpretato: è ciò che è, letterale. L’anima è ciò che vede e sente di essere. Si capisce lo sforzo della Lubich, negli anni a venire, di costituire e sostenere un centro studi composto da teologi e filosofi, assieme a don Pasquale Foresi, primo focolarino sacerdote, poi monsignor Klaus Hemmerle e Giuseppe Maria Zanghi. Un gruppo in seguito costituitosi come scuola Abbà con la presenza anche di epistemologi, economisti, linguisti, esperti di Diritto, di Psicologia e di Scienze politiche: tale inedito insieme di diverse competenze dice chiaramente la percezione di ritenere di avere un patrimonio di intuizioni e conoscenze capaci di dire qualcosa non solo sulla rivelazione e sulla Chiesa ma su ogni ambito del sapere.

Il Sant’Uffizio e la pressione su Chiara: le depressioni e i ricoveri

Tornando agli inizi, al ’49, è chiaro che tale identificazione dell’Anima con Chiara, “Gesù in Mezzo”, Gesù Abbandonato e con Maria non poteva essere priva di conseguenze già su Chiara stessa: a partire dal ’51 probabilmente alcune parti di questi testi erano giunte alle autorità ecclesiali che misero sotto studio la Lubich. Il conflitto interiore tra la sua autopercezione e lo studio da parte della Chiesa misero a durissima prova la salute psicofisica di Chiara. La psicologia dinamica di scuola junghiana parla a questo proposito di “inflazione”, quando cioè contenuti psichici sovrapersonali (in questo caso i “personaggi” del Paradiso) invadono la coscienza e la sottopongono a una pressione intollerabile. C’è da stupirsi che la Lubich sia sopravvissuta mantenendo un certo equilibrio, sempre tuttavia molto precario: protetta e isolata grazie alle cure delle Focolarine che vivevano con lei, prima tra tutte Eli Folonari, sua segretaria, la Lubich ha alternato durante tutta la sua vita momenti molto produttivi di attività, di fondazione e di trascinante attività apostolica che l’hanno resa famosa in tutto il mondo e nei contesti più diversi, a momenti di depressione e forte esaurimento psicofisico, tanto da rendersi necessario il ricovero in cliniche specializzate. Gli ultimi anni di vita della Lubich sono stati contrassegnati proprio da un riacutizzarsi della sua sofferenza psichica, complicata ovviamente da fattori legati all’età. Io ho potuto conoscere più da vicino la Lubich in queste due fasi terminali della sua vita, in cui ha ricevuto la cittadinanza onoraria a Firenze e ha partecipato alla commissione della Pedagogia, ultima nata delle cosiddette “inondazioni”. Ma prescindendo dal caso personale della Lubich, questa “inflazione” è stata molto più grave per il cofondatore, don Pasquale Foresi.

Il percorso del secondo “cofondatore”, don Pasquale Foresi

Pasquale Foresi, figlio di Palmiro Foresi, esponente toscano della Dc, membro della Costituente, conosciuto da Chiara Lubich grazie a Giordani, fu contattato e invitato agli incontri del mento dallo zelo apostolico di Graziella De Luca, compagna dei primi tempi di Chiara che girava l’Italia come apostola instancabile del Movimento nascente. Foresi, molto giovane, aveva partecipato ancora minorenne alla resistenza cattolica, poi aveva sentito la vocazione al sacerdozio e aveva frequentato per due anni il prestigioso collegio Capranica a Roma. Uscito dal seminario aveva maturato un atteggiamento di forte avversione nei confronti della Chiesa Cattolica, al punto che, dopo aver ascoltato le parole della De Luca che gli annunciavano un “cristianesimo nuovo, laico, popolare ed evangelico”, Foresi stesso racconta di aver risposto: “Bravi, appena la Chiesa vi scioglierà verrò con voi”: cito a memoria una registrazione a uso interno della fine degli anni ’60, usata nelle scuole di formazione per focolarini dove l’ho sentita.

Foresi venne invece individuato come persona ragguardevole e invitato a Trento attorno al ’53, quindi in piena fase di studio del Movimento, e a lui ed altri focolarini in fieri extra trentini vennero raccontate le “visioni intellettuali” di Chiara da lei stessa. I partecipanti rimasero positivamente colpiti e quasi ammutoliti e Foresi decise, seduta stante, di trasferirsi nel Focolare di Trento. Negli anni successivi Chiara confermò a tutti i (pochissimi) focolarini e Focolarine che l’incontro con Foresi era stato per lei la rivelazione di un “disegno di Dio”, un vero e proprio cofondatore, fino ad attribuirgli il nome nuovo di “Chiaretto”.

Il difficile ruolo di mediazione svolto da Foresi

L’idea che Chiara ebbe su Foresi era quella che lui potesse diventare sacerdote e aprire così alle nuove idee del Movimento la Chiesa “istituzionale”. Un “nuovo tipo di sacerdozio”, quindi. Foresi si riappropriò della vocazione abbandonata e tornò in seminario, a Trento, sotto l’autorità del vescovo. Una volta ordinato sacerdote si trasferì a Roma dove non poteva frequentare il Focolare per proibizione della Chiesa, vista la fase di studio del Sant’Uffizio in corso.

Don Foresi, a partire da questo momento, avrà un difficilissimo ruolo: quello di intermediario tra la Chiesa istituzionale e Chiara, che essendo sotto studio era stata sospesa dal suo ruolo di fondatrice e “capo del Movimento”. Su questa fase ci sono pochissime testimonianze e probabilmente non ne sapremo mai nulla. Fatto sta che Foresi riuscì a sostenere questo difficile ruolo fino all’approvazione di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, giocando anche nel Movimento un ruolo importantissimo come assistente ecclesiastico e co-presidente, nonché come formatore di Focolarine e focolarini, iniziatore del giornale Città Nuova, co-fondatore della cittadella di Loppiano e anche come teologo e scrittore di alcuni testi non privi di un certo acume e sensibilità sociale.

Il declino psicofisico di “Chiaretto”

A partire dal 1969 il crollo psichico di don Foresi si rivelò ben più grave dei ciclici esaurimenti di Chiara, e il buio fitto calò su di lui, con una totale scomparsa dalle scene del Movimento, sostituito da altri sacerdoti focolarini che ne presero il posto come copresidenti. Don Foresi tornerà ad apparire nelle riunioni del Movimento (sempre ad intra) solo negli anni ’90. Sulla malattia di don Foresi c’è un giusto riserbo, che fin da quando conobbi il Movimento mi colpì molto. Arrivato poi alla scuola dei focolarini e ascoltando la storia e i compiti di Foresi (su questi aspetti durante il primo anno di formazione a Loppiano si teneva una lezione specifica di un’ora a settimana, accanto alle lezioni di Teologia dogmatica, morale ecc.) mi chiedevo di più su questa misteriosa scomparsa, sulla quale i nostri responsabili tenevano sempre strettissimo riserbo. Mi era molto simpatica questa figura di uomo colto, serio e misurato, sobrio nelle manifestazioni d’affetto, ma anche un toscano che lasciava trasparire un atteggiamento quasi spregiudicato nel trattare argomenti scottanti e importanti di spiritualità, morale, storia della Chiesa ma anche società civile, storia contemporanea. Cercai informazioni ed ebbi solo la conferma che don Foresi era affetto da una forma di schizofrenia, ed era per questo curato da uno psichiatra focolarino che risiedeva per questo compito specifico a Rocca di Papa e che lo incontrava più volte la settimana. Un autista personale, sempre lo stesso per trent’anni, lo seguiva come un’ombra.

Un’immagine sconvolgente

Mi hanno riferito — ma non ho modo di verificarlo — che i deliri di don Foresi nei primi anni della malattia riguardassero una possibile sua elezione a papa. Seguendo l’ipotesi che abbiamo chiamato “di assorbimento” dei membri nella Unità “Dio-Chiara”, è possibile che la malattia in questione riguardi proprio i contenuti che la persona di don Foresi ha assunto e nel quale si è identificato, in seguito al suo difficilissimo ruolo, in situazione di conflitto lungo e molto acuto tra Chiesa e fondatrice; e che tutto questo abbia rotto definitivamente il suo equilibrio psichico. L’ho potuto incontrare solo due volte, alla Messa del suo 50° di ordinazione sacerdotale e poi più tardi in Svizzera, in un gruppo informale di tre o quattro focolarini, presenti i responsabili della sezione. Era il 2007 e ne ricavai una impressione sconvolgente: Chiara era malata, praticamente terminale e don Foresi faceva riferimento a una “fase spirituale” che lui definiva “notte del corpo” alludendo a qual cosa che poteva far pensare che “Chiara non sarebbe morta”.

L’introiezione del principio petrino

Tornando alle vicende dello “studio” da parte della Santa Sede su Chiara Lubich prima delle approvazioni, è probabile che tali indagini siano state condotte con una particolare rudezza e chiusura su una donna per giunta laica da parte dei sacerdoti, monsignori e teologi: la storia della Chiesa è piena di casi come la Lubich trattati con violenza e totale assenza di spirito di dialogo, da Margherita Porete in poi, senza parlare ovviamente del capitolo “caccia alle streghe”, sul quale la storiografia più recente ha chiarito il preconcetto di misoginia elevato a ideologia maschilista e clericale. Per questo è conseguentemente probabile, ancorché non del tutto immediatamente evidente, che la Lubich, probabilmente convinta a priori della propria ispirazione divina e in questo supportata e rafforzata dal gruppo fondatore, abbia in un certo senso introiettato l’aspetto più “duro” e intollerante delle critiche del Sant’Uffizio, riproducendo lei stessa, e imitata in questo dai suoi più vicini collaboratori una volta che il Movimento fu approvato, un atteggiamento di fortissima chiusura nei confronti di qualsiasi critica, dissidenza, opinione anche solo leggermente non allineata con il suo — per così dire — “magistero”. Questo è evidentissimo nell’atteggiamento rivelato nei confronti di tantissime persone che sono state indagate, isolate e poi estromesse dal Movimento in modo privo di carità cristiana e di rispetto per la coscienza: i casi sono numerosissimi, documentati e pubblicati in varie sedi.

I tentativi falliti di riforma dall’interno

Sono a conoscenza di almeno due tentativi di “rinnovamento e riforma” chiesti da membri importanti dei Focolari, sia uomini che donne: il primo fu nel 1969 e si concluse con un’ampia epurazione di membri della regione nord-est del Movimento, Trentino, Veneto ed ex Jugoslavia, che subirono appunto una estromissione senza appello. Ma su questo la storia ufficiale del Movimento tace totalmente. Forse più facilmente reperibili sono i tentativi fatti da una componente dei focolarini negli anni ’90, il cosiddetto gruppo Rinnovamento che vide una partecipazione abbastanza nutrita di membri che in una sorta di cahiers de doléance poi fatti avere alla fondatrice, chiedevano più dialogo e partecipazione. Ma erano gli anni dell’approvazione degli Statuti dell’opera, ai quali Chiara e i suoi collaboratori dedicarono molti sforzi e che furono approvati dal Pontificio Consiglio per i Laici nella persona del cardinal Eduardo Francisco Pironio, in piena era Wojtyla. Gli Statuti, che ho studiato e ai quali ho obbedito, prevedevano una assoluta mancanza di partecipazione democratica: nella sostanza tutti i membri responsabili delle sezioni e delle articolazioni più importanti erano (e sono ancora) focolarini celibi o coniugati, legati quindi da un voto di obbedienza alla presidente; vengono votati sulla base di una terna preselezionata direttamente dalla presidente, è quindi una struttura rigidamente e totalmente verticistica, giustificata dall’esigenza dell’unità e dell’allineamento con la fondatrice e con ogni futura presidente.

Il dissenso organizzato

Ho partecipato personalmente, come mio ultimo tentativo esplicito di sollevare la questione, a una lettera indirizzata due volte alla presidente dopo la morte di Chiara, ovvero nel 2009 e nel 2010: una richiesta di dialogo con i vertici del Movimento firmata da 34 focolarini celibi di voti perpetui e da due focolarini coniugati. Fummo ricevuti dalla presidente Maria Voce e dal co-presidente in data 5 giugno 2010, incontro di cui ho la trascrizione rivista dal centro del Movimento. Fummo accolti con affabilità e ascolto, e alcuni dei presenti lavorano ancora nei centri del Movimento convinti che quella occasione possa essere l’inizio di un vero rinnovamento della prassi. Personalmente ero e sono convinto che un’effettiva fase di rinnovamento poteva nascere solo dalla discussione e dalla votazione di modifiche strutturali agli Statuti generali e alla struttura dell’opera, cosa che a quel tempo, solo dopo la morte della fondatrice, non era nemmeno pensabile. Per questo, e per altri motivi che ho chiarito in altra sede, decisi un anno dopo di dare le dimissioni dalla sezione dei focolarini e con me una parte dei firmatari della lettera. Non sono a conoscenza di come il dialogo su queste questioni sia continuato, ma non escludo che possa essere in corso.

La rivoluzione d’ottobre focolarina e la creazione di una “Chiesa parallela”

Negli anni ’80, precisamente nel 1983, mentre facevo parte del Movimento Gen, sentivo parlare di una svolta tutta interna della struttura focolarina decisa dalla Lubich: venne chiamata “rivoluzione d’ottobre” perché annunciata in quel mese all’annuale raduno dei vertici: la Lubich voleva realizzare un progetto significativo nel senso che abbiamo descritto; le zone di diffusione e organizzative del Movimento — in prospettiva in tutto il mondo — avrebbero dovuto corrispondere territorialmente alle diocesi, e avrebbero dovuto avere non solo un Focolare ma anche centri territoriali, detti “centro zona”, dotati di focolarini responsabili di ogni aspetto, dall’economia alle comunicazioni sociali, passando per la vita fisica e spirituale: i “7 aspetti”, che a loro modo ricalcano un arcobaleno onnicomprensivo di dimensioni e compiti, simili a quelli di una diocesi o dei dicasteri romani, il che la dice lunga sulla effettiva finalità di essere una “seconda Chiesa”, certamente a servizio della prima, ma con quale utilità? Negli anni quella rivoluzione non solo non è stata attuata ma, a fronte della clamorosa crisi delle vocazioni focolarine, da almeno vent’anni si chiudono Focolari in tutto il mondo, e conseguentemente sono stati completamente rivisti i compiti e la fisionomia dei “centri zona”. Quella “rivoluzione d’ottobre” ha avuto anche lei il suo ’89...

Servizio al prossimo o strategia di conquista?

Nel momento di maggior crescita numerica del Movimento, nei primi anni ’80, in coincidenza del nuovo papato di Giovanni Paolo II, Chiara Lubich rispolverò i testi degli inizi, uno in particolare del 1946 sull’Unità, nel quale si delinea una metodologia di “conquista” molto interessante e anche molto ambigua, che Chiara definisce “farsi uno” o anche “vivere l’altro”. Per arrivare al fine del “che tutti siano uno” — Chiara si rifà al passaggio di san Paolo nel quale l’apostolo dice di volersi “fare tutto a tutti per guadagnare a Cristo il maggior numero”. Chiara dice nel testo del ’46: “Se un gruppo anche piccolo di uomini fossero veri servi di Dio nel prossimo, presto il mondo sarebbe di Cristo”. L’ut omnes sint unum si raggiunge con poca spesa, semplifica e pragmatizza la Lubich: occorre avvicinarsi a ogni persona interessandosi a tutto ciò che interessa l’altro e presto o tardi ogni persona in tal modo incontrata si interesserà a ciò che interessa al primo agente di tale dinamica. Questo metodo di attenzione concreta ai bisogni è profondamente ambiguo, e Chiara stessa precisa che non bisogna strumentalizzare l’altro per fini “apostolici”: ma come è possibile se, in fondo, lo scopo, il fine, è “conquistare a Cristo il maggior numero”, come dice san Paolo o, secondo la Lubich, “l’Unità”? Se il servizio non è disinteressato, concreto, storicizzato e contestualizzato, può diventare un semplice strumento di affiliazione di altri membri al Movimento. Questo è in parte avvenuto ed è stato un formidabile strumento di conquista di persone e di una crescita numerica del Movimento che però, negli anni ’90 ha cominciato a mostrare anche numericamente la sua inefficacia: moltissime persone hanno conosciuto il Movimento e lo hanno poi abbandonato, prendendo poi da esso le idee e le pratiche che ritenevano accettabili e rifiutando altri aspetti più decisamente settari o improponibili. Nel corso degli anni la spinta settaria e di conquista è stata infatti molto ridimensionata, a favore di un approccio più mediato e “normale”. Quello che, a distanza di decenni, è facilmente osservabile è che il Movimento è riuscito a ottenere il consenso e “la conquista” di posizioni importanti presso i vertici ecclesiali e civili: moltissimi vescovi e cardinali, amministratori pubblici, esponenti dei più diversi partiti politici. Meno presenti come membri interni gli intellettuali “organici” riconosciuti. Quello che, ahimè, si constata è la mancanza di azioni significative e continuative “di base”, di servizio concreto e contestualizzato, mentre abbondano iniziative “spot” assai pubblicizzate e rese visibili dai media. Un risultato deludente, considerando le energie e il numero di persone contattate e coinvolte negli anni. Ma questo richiederebbe un’analisi quantitativa e qualitativa specifica.

La “tensione alla santità” e i suoi rischi come “nevrosi religiosa”

Sempre negli anni ’80 viene un’altra svolta, stavolta sul piano della dimensione spirituale. La Lubich, forse proprio a fronte dei risultati ottenuti sul piano ecclesiale, guidata certamente dalla consapevolezza di aver portato il Movimento a essere una realtà ecclesiale riconosciuta e stimata oltre che approvata dalla Chiesa, lancia ai membri del Movimento la proposta di una “tensione alla santità” che, partendo dal suo proprio personale sforzo di raggiungere quel fine, propone a tutti i membri del Movimento, arrivando a definirlo “santità collettiva”. Nei primi anni ’80 inizia a tenere conversazioni telefoniche collettive quindicinali con tutti i centri del Movimento comunicando un pensiero spirituale che lei stessa ha vissuto con intensità e profitto. La società telefonica svizzera offre la sua struttura per le collegamento — che prenderà per questo il nome di collegamento CH, poi registrato e portato dai focolarini in tutte le comunità del mondo, in modo capillare. Un’iniziativa certamente interessante e inedita, che tenta di conciliare la santità con le comunicazioni di massa. Adesso tale collegamento è meno caratterizzato spiritualmente e ha preso il format di una sorta di “telegiornale” internazionale, trasmesso via internet e pubblico, non più segretato come negli anni ’80. Ma ciò su cui viene spontaneo ora riflettere è proprio sulla dimensione personale e spirituale dell’intento di Chiara. È possibile che la santità si realizzi e si costruisca con una “tensione”, cioè con un intento deliberato e per così dire “cumulativo” oppure essa è un dono, non un risultato ma una sovrabbondanza? E, di più, è possibile che la santità possa essere “collettiva”? Queste e altre domande richiedono per lo meno un discernimento teologico, spirituale ed ecclesiale più accurato, di certo sono evidenti le possibili distorsioni e conseguenze negative, tutte purtroppo constatate e verificabili: l’ingenerarsi di vere e proprie “nevrosi spiritualizzate”, eccessi di perfezionismo vicini alla patologia, senso di appartenere a una categoria “superiore” di fedeli, più perfetti e impegnati dei “comuni fedeli”, una deriva gnostica o più propriamente “farisaica” che spesso è una delle motivazioni più frequenti che hanno spinto e spingono persone entrate in contatto col Movimento ad abbandonarlo. Niente di più lontano dal “cattolicesimo popolare” attento alle “periferie esistenziali” propugnato da papa Francesco, che non perde occasione di precisare cosa pensava Gesù dei “perfetti” del suo tempo. Termino ironicamente con una battuta colta da un focolarino consacrato, ancora parte del Movimento:

Dopo quaranta anni di Focolare mi sono rimaste tutte le tensioni, fuorché quella alla santità.

ll 22 gennaio 2020, a Trento, si è tenuta la riunione di sette cardinali e centotrentasette vescovi “amici del Movimento” per celebrare il centenario della nascita di Chiara Lubich; con tutto il rispetto per i successori degli apostoli e con l’affetto che porto a Chiara Lubich non credo che questo evento sia poi così significativo per la storia della Chiesa; personalmente la mia adesione di fede alla Chiesa cattolica oggi si basa e trova motivi di speranza nella vita quotidiana delle comunità di base, delle parrocchie o dei cristiani anonimi che vivono e lavorano in semplicità e in povertà giorno per giorno dove la sofferenza è reale. E, se devo guardare ai successori degli apostoli, quelli che mi spingono a continuare ad avere fede nella Chiesa e il cui agire sta già facendo la storia sono coloro che in un recente Sinodo hanno rinnovato il cosiddetto “patto delle catacombe” del 1965, basato sulla prassi, sulla testimonianza e sul martirio di migliaia di laici, preti e vescovi, nella memoria di san Oscar Romero, vescovo e martire dei poveri.

1. In realtà, tra i movimenti ecclesiali di questo tipo l’Opus Dei è più antico, avendo preso avvio nel 1928 su iniziativa di Josemaria Escrivà de Balaguer.

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