Cause sistemiche e strategie di lotta
News pubblicata il 26 ottobre 2024 • Testo di Cecilia Sgaravatto e Monique Van Heynsbergen
Leggi qui l’introduzione di Ludovica Eugenio.
Poiché la piaga degli abusi sessuali è spesso l’ultimo stadio di condotte più pervasive di abuso psicologico e di prevaricazione di chi svolge un ruolo di accompagnamento spirituale o di coordinamento di gruppi o di comunità, affrontare tale problematica implica necessariamente valutare anche l’abuso di coscienza e di potere che purtroppo sembra connesso ad un’impostazione clericale delle strutture ecclesiastiche e non a problematiche di singoli soggetti che hanno mal interpretato il loro ruolo.
Molte vittime di abuso denunciano la mancanza di ascolto e un tentativo costante di insabbiare le denunce da parte della Chiesa e dei Dicasteri Vaticani, per questo abbiamo chiesto a p. Hans Zollner di aiutarci a capire lo stato dell’arte dell’azione ecclesiale nei confronti degli abusi di ogni genere.
Padre Hans Zollner, gesuita, psicologo, teologo e professore presso la Pontificia Università Gregoriana, esperto, noto a livello mondiale, nel campo della lotta agli abusi sessuali nella Chiesa, è preside dell’Istituto di Antropologia — Studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura delle persone vulnerabili.
L’intervista a padre Hans Zollner
Cecilia Sgaravatto e Monique Van Heynsbergen (CS&MVH): Continuano gli scandali relativi agli abusi sessuali nella Chiesa, non solo tra i sacerdoti, ma anche nelle comunità e nei movimenti ecclesiali. Quali sono le radici dei comportamenti abusanti?
Padre Hans Zollner (PHZ): Le radici dei comportamenti abusanti all’interno della Chiesa si possono attribuire a diversi fattori.
Sottolineerei il clericalismo e le dinamiche di potere come uno dei principali problemi. Il clericalismo è un atteggiamento che pone i membri del clero su un piedistallo, rendendo difficile la contestazione della loro autorità. Questo provoca così che certi comportamenti inappropriati possono essere nascosti o minimizzati.
L’abuso di potere è quindi alla base di molti casi di abusi sessuali, specialmente se combinato con una mancanza di responsabilità e trasparenza all’interno delle strutture ecclesiastiche.
Gli atteggiamenti clericalisti sono a volte promossi dagli stessi laici che accettano e assecondano strutture autoritarie senza metterle in discussione e considerano i sacerdoti come figure superiori e non come pastori al servizio della comunità, contribuendo così a una visione distorta del potere e della leadership all’interno della Chiesa.
Un altro fattore è la mancanza di trasparenza e il rifiutarsi di ammettere gli errori, tendendo a coprire gli abusi, piuttosto che affrontarli. Questo non solo perpetua l’ingiustizia nei confronti delle vittime, ma compromette anche la credibilità della Chiesa stessa.
Per quanto riguarda gli individui che abusano, l’abuso può essere vincolato a fattori sociali e fattori psicologici e culturali. Se uno guarda i rapporti scientifici nei vari Paesi, si vede che l’età media in cui un sacerdote inizia ad abusare è di 39 anni. Gli individui che operano in un contesto di isolamento, ad esempio, un prete diocesano in una parrocchia senza una rete di supporto o amicizie, o quelli che durante la formazione non hanno sviluppato competenze relazionali, possono potenzialmente avere comportamenti abusanti. In particolare, l’assenza di relazioni sane e l’incapacità di gestire correttamente le proprie emozioni possono condurre a questi comportamenti abusanti.
In ogni caso, anche se perpetrato da singoli soggetti, l’abuso avviene dentro una struttura e un sistema più ampio che lo permette e consente.
CS&MVH: Si può dunque affermare che molti abusi nascano dalla struttura stessa delle regole e degli statuti dei Movimenti e delle congregazioni religiose? È possibile che i voti di povertà, obbedienza e castità previsti nella scelta religiosa di chi appartiene alle comunità di vita consacrata siano terreno fertile per gli abusi rispettivamente patrimoniali, di potere e sessuali?
PHZ: I voti religiosi possono creare un terreno fertile per gli abusi, se vengono vissuti in modo disfunzionale, ma non sono una causa diretta di abuso.
Il voto di obbedienza, se mal interpretato, può portare a una sottomissione acritica verso le autorità, rendendo difficile per le vittime o per i testimoni denunciare comportamenti inappropriati. Il voto di povertà può anche essere sfruttato per esercitare un controllo sulle persone e le loro coscienze, rendendole completamente dipendenti dalle decisioni dei superiori.
Per quanto riguarda il voto di castità, può anche essere un fattore di rischio di abuso, ma non è da considerarsi una causa diretta. Tutti i rapporti scientifici, compresi quelli commissionati da istituzioni non ecclesiastiche, concludono che il celibato di per sé non porta ad abusi. È quindi sbagliato, ad esempio, affermare che con l’abolizione del celibato non ci sarebbero più casi di abusi nella Chiesa cattolica. Gli abusi sessuali nascono soprattutto da un abuso di potere di cui qualcuno approfitta.
Le conclusioni di questi rapporti sono, come sostengo anch’io, che, senza una solida formazione umana e una vita sana da un punto di vista olistico e comunitario, la vita celibataria, l’obbedienza e la castità possono portare ad abusi sessuali o di altro tipo. È importante che il sacerdote, il religioso o la religiosa abbiano un equilibrio umano nella loro vita spirituale e di lavoro. Sono il vuoto interiore e i desideri mal gestiti che possono favorire comportamenti abusivi.
Per questo motivo, è necessario investire di più in una formazione integrale e continua che si concentri non solo sugli aspetti teologici e formali o di una spiritualità disincarnata, ma anche su una crescita personale e psicologica, per garantire che chiunque sviluppi una maturità emotiva e relazionale adeguata.
Servirebbe, anche, che ogni comunità religiosa e movimento ecclesiale abbia strutture di monitoraggio indipendenti (external auditing) per prevenire e affrontare gli abusi.
CS&MVH: Nelle dichiarazioni ufficiali della Chiesa si percepisce una forte tensione a intervenire sul problema degli abusi, tuttavia ci sono numerose vittime che ancora denunciano il silenzio di fronte alle segnalazioni inviate in Vaticano, tanto da far percepire poca concretezza sia nell’accoglienza che nell’ascolto. Qual è l’atteggiamento della Chiesa istituzionale nei confronti delle vittime?
PHZ: La Chiesa tutta – clero, religiosi, laici – troppo spesso non ha risposto in modo chiaro e trasparente alle segnalazioni delle vittime. Frequentemente, i meccanismi di denuncia e gestione dei casi di abuso risultano poco chiari e, in diversi casi, le vittime non hanno visto conseguenze concrete alle loro segnalazioni. Questo ha alimentato la percezione che la Chiesa guardi da un’altra parte e non faccia vera giustizia.
Per questo motivo, persiste un divario tra le dichiarazioni ufficiali e la percezione delle vittime riguardo alla concretezza delle azioni intraprese. E, nonostante la volontà espressa dalla Chiesa di affrontare il problema in modo serio e strutturato, molte vittime continuano a sentirsi inascoltate e ignorate. Ciò è dovuto, in parte, alla complessità dei processi canonici e alla lentezza con cui vengono applicate le normative contro l’abuso nei diversi contesti locali.
Le vittime da molti anni chiedono segnali chiari e coerenti di cambiamento nella Chiesa. Ci sono state riforme canoniche in questa direzione. Ho avuto modo di ascoltare alcune di queste persone e hanno apprezzato questo sforzo che vedono come un ulteriore passo avanti nel chiarire il percorso della giustizia all’interno della Chiesa. Tuttavia, non è abbastanza e manca ancora molta strada da fare.
CS&MVH: Nell’azione di prevenzione agli abusi sarebbe utile che venisse prevista tra i membri delle commissioni di vigilanza dedicate la componente delle vittime, in modo che possano portare la loro prospettiva e possano garantire una valutazione obiettiva delle dinamiche abusanti e contemporaneamente un contrappeso al rischio di difendere l’immagine della Chiesa?
PHZ: L’ascolto alle vittime è essenziale affinché le misure di prevenzione, tutela e protezione siano efficaci. Per questo motivo, l’inclusione delle vittime nelle commissioni di vigilanza e nei processi decisionali della Chiesa è un passo fondamentale per garantire una prospettiva equilibrata e una maggiore credibilità nelle azioni di prevenzione degli abusi. La loro voce, la loro esperienza e la loro sensibilità rappresenta un contributo insostituibile per comprendere a fondo le dinamiche abusanti.
Ci sono degli esempi, come quello delle commissioni francese e portoghese, ma anche di altri Paesi, che hanno coinvolto le vittime nel processo. Tuttavia rimane il problema che in molti settori della Chiesa c’è ancora resistenza a questa partecipazione attiva delle vittime, in quanto si teme che possa avere un impatto sulla reputazione dell’istituzione.
Ma è chiaro che solo accettando apertamente il contributo delle vittime e impegnandosi per la giustizia si potrà ricostruire, molto piano, la fiducia e prevenire ulteriori abusi.
CS&MVH: Le sue dimissioni da membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, l’organismo istituito dal Papa nel 2014 per contrastare la piaga degli abusi del clero, hanno forse rallentato l’impegno della Chiesa nell’azione di prevenzione e di contrasto agli abusi?
PHZ: Non credo che le dimissioni di una persona da tale Commissione possano significare un rallentamento dell’impegno della Chiesa.
Quello che posso dire è che la mia dimissione è stata motivata da una serie di preoccupazioni strutturali, economiche e organizzative che ho cercato di condividere prima con la leadership della Commissione e poi in una dichiarazione pubblica, dopo non aver ricevuto risposta.
CS&MVH: Cosa si può fare in modo che il valore del rispetto delle persone agisca a tutti i livelli della vita ecclesiale attraverso una consapevolezza e una formazione adeguate?
PHZ: Da responsabile di un istituto cattolico accademico vorrei dire: la cosa più importante è la formazione al rispetto, e non solo con le parole e le dichiarazioni, ma nella trasformazione degli atteggiamenti e dei cuori. Ci vogliono più persone educate e competenti per contribuire a creare ambienti sicuri lavorando a contatto con le istituzioni, i bambini, i giovani e le persone vulnerabili e le loro famiglie. È solo così che possiamo rispondere alla chiamata di nostro Signore Gesù, che vuole che i più piccoli e i più vulnerabili siano al sicuro dentro la sua Chiesa.
Diffondere questa cultura del Safeguarding coinvolgendo tutti i membri della comunità ecclesiale, implica non solo educare su come prevenire e rispondere agli abusi, ma anche promuovere una cultura del rispetto, della trasparenza e della responsabilità.
A questo proposito, l’Istituto di Antropologia (IADC) della Pontificia Università Gregoriana, di cui sono direttore, è impegnato nella formazione di esperti nel campo del Safeguarding e la prevenzione dell’abuso attraverso un Diploma semestrale in inglese e in spagnolo, una Licenza biennale in inglese e un programma di dottorato in antropologia. L’IADC offre, inoltre, un programma di Blended E-learning, disponibile in cinque lingue, al quale stiamo dando un nuovo approccio in questo momento per offrire un programma innovativo e adatto alle necessità attuali.
CS&MVH: Perché in Italia non si è fatta finora un’indagine sugli abusi guidata dall’esterno, come avvenuto in Francia e in altri Paesi dell’Unione Europea? Ritiene che una commissione indipendente per tutti i tipi di abuso sarebbe necessaria?
PHZ: Da quello che so la CEI ha iniziato un processo che va in questa linea. Non solo in Italia, la paura è stata che l’immagine della Chiesa possa soffrire a causa della conoscenza dei numeri dei casi di accuse, senza rendersi conto che quando uno cerca di negare la realtà non solo l’immagine soffre di più, ma viene meno la fiducia non solo nei singoli, ma nella Chiesa tutta e il suo messaggio.
Dove sono state create commissioni indipendenti, ciò è stato visto come un impegno di trasparenza e di onestà. Credo che le commissioni indipendenti e scientificamente valide siano un passo necessario nel cammino verso una giustizia riparativa. È un processo lento, ma se fatto bene e coerentemente porta a una conversione sincera al Vangelo di Gesù Cristo che si identifica con i più piccoli e con gli abbandonati e feriti.
CS&MVH: Molte pratiche abusanti sono anche contrarie alle norme degli ordinamenti giuridici degli stati di diritto, per esempio il ruolo di inferiorità a cui è relegata la donna o la mancanza di un reddito proprio per chi fa una scelta di consacrazione, che impedisce il diritto di autodeterminazione. La piaga degli abusi è una sfida che interpella tutte le componenti della società. Ritiene che sarebbe necessario cambiare la struttura giuridica delle associazioni di statuto pontificio, in modo che venga garantito un controllo giuridico esterno?
PHZ: L’esperienza in molti Paesi è stata che gli organi dello Stato – magistratura, forze dell’ordine, uffici preposti – non solo non hanno fatto il loro dovere, ma a volte hanno anche chiuso gli occhi o almeno non si sono interessati. Non penso che ci si possa aspettare cambi di fondo semplicemente perché si chiede allo Stato o altre organizzazioni di intervenire. Più importante è che ci siano meccanismi di supervisione e responsabilità ben definiti – sia interni, sia esterni – che funzionano o, se non funzionano, siano migliorati.
In qualsiasi caso si deve sviluppare di più come conciliare la giusta libertà e autodeterminazione con l’impegno volontario e spiritualmente motivato in una comunità. Sono da identificare i fattori che conducono nella vita consacrata ad abusi di potere e di altro tipo, per evitare che questi accadano, e avere pronti processi che garantiscono anche una supervisione esterna in grado di agire quando necessario e prevenire.
CS&MVH: Molto spesso per le vittime è difficile, se non impossibile, adire le vie legali, perché servono prove inconfutabili e testimoni, difficili da trovare nei casi di abusi; inoltre le vittime parlano solo dopo molti anni rispetto ai momenti di accadimento delle condotte illecite. Cosa potrebbe fare la Chiesa per garantire comunque un risarcimento economico e una riabilitazione pubblica come espressione di carità e di comunione fraterna?
PHZ: Per tante vittime che ho conosciuto, più che un risarcimento economico, è importante ricevere un segno di domanda di perdono da parte di un rappresentante della Chiesa. Purtroppo è anche vero che quanto manchiamo di attenzione nei confronti delle vittime, tanto manchiamo di attenzione pastorale nei confronti delle persone accusate, e delle persone condannate per abuso.
Accompagnare le vittime di abuso di ogni tipo è molto importante, a ogni livello. Ma bisogna innanzitutto sentire con il cuore aperto quello che hanno da raccontare. Molto spesso dimentichiamo che le vittime all’interno della Chiesa hanno perso la fede in Dio, nei sacerdoti e nella Chiesa come istituzione. Quindi quello che possiamo offrire è uno spazio e un tempo sicuro in cui la fiducia semmai potrà ricrescere, riformarsi, ristabilirsi. Ho personalmente incontrato vittime che sono rimaste nel loro dolore, nella loro rabbia, nella loro tristezza per sempre.
Dobbiamo dire che molte vittime hanno commesso suicidio direttamente o indirettamente, tramite alcolismo o uso di droghe perché non potevano convivere con quel dolore. Ho visto altri che hanno maturato un desiderio spirituale di riscoprire quel Dio, quella dimensione della salvezza che avevano perso, tramite la preghiera, l’accompagnamento terapeutico e/o spirituale. Ma è un processo che richiede molto tempo, non va forzato, altrimenti potrebbe essere un altro tipo di abuso.
La Chiesa deve anche affrontare il problema degli abusi in modo sistematico, garantendo misure di risarcimento che non siano solo simboliche, ma che rappresentino un vero atto di giustizia e riconciliazione per le vittime. Questo potrebbe includere l’istituzione di un fondo specifico per il risarcimento economico e iniziative di riabilitazione pubblica che diano dignità e visibilità alle vittime, coinvolgendo anche un’unità indipendente che verifichi l’efficacia delle misure adottate. La Chiesa potrebbe ispirarsi a modelli adottati in altri contesti dove la collaborazione tra esperti laici e autorità ecclesiali ha portato all’implementazione di programmi di riconoscimento e riparazione alle vittime. Questo approccio dimostra che la Chiesa può agire in modo più trasparente e responsabile.
Per quanto riguarda la relazione della persona con Dio, la cosa essenziale è che la Chiesa non cerchi di imporre una riconciliazione forzata o di affrettare un ritorno alla fede, ma piuttosto accompagni le vittime con rispetto e pazienza. La loro perdita di fiducia e fede è una ferita profonda che richiede tempo, sostegno costante.
CS&MVH: Nel caso di abusi patrimoniali molte vittime hanno donato tutti i loro beni e i loro averi alle opere a cui hanno aderito, ma non hanno ricevuto nessun aiuto economico in caso di uscita né i contributi previdenziali per la pensione, impedendo loro di vivere una via dignitosa o, in molti casi, di uscire dall’esperienza per timore di non avere le risorse economiche adeguate. Cosa può fare la Chiesa in questi casi?
PHZ: Questa è anche una questione che richiede riflessione e attenzione. Ci sono casi di persone che lasciano la vita consacrata dopo molti anni di vita in essa e non hanno le risorse finanziarie per sopravvivere o i soliti requisiti dal mondo civile che di solito vengono richiesti per trovare un lavoro, come titoli di studio o esperienza lavorativa.
La situazione giuridica dei membri delle associazioni di statuto pontificio come cittadini con diritti a prestazioni in alcuni Paesi, come Francia e Germania, le congregazioni iscrivono i membri delle comunità religiose ai sistemi di sicurezza sociale pagando i contributi in modo analogo agli altri lavoratori e hanno diritto a una pensione di base e al sistema sanitario come parte della loro cittadinanza. Ma questo non è il caso in tutti i Paesi.
La Chiesa potrebbe fomentare che nelle congregazioni e istituti religiosi ci siano meccanismi che assicurino contributi previdenziali per la pensione e forme di risarcimento che permettano alle persone di vivere dignitosamente.
Siccome questo non è stato sempre il caso, e non lo è ancora oggi, ci sono delle associazioni, come Extramuros in Spagna, che danno supporto a persone che hanno deciso di lasciare la vita consacrata e offrono assistenza psicologica, economica e lavorativa con l’obiettivo di aiutarle a reintegrarsi nella società.
CS&MVH: Cosa direbbe a chi ha perso la fede e la dignità umana a causa delle esperienze di abuso vissute?
PHZ: L’abuso spesso ha un impatto sulla persona nella sua relazione con Dio. Non poche vittime hanno perso il senso del loro valore come persone, come esseri con dignità e hanno perso la fiducia in sé, negli altri e in Dio.
La prima cosa prima di parlare a qualcuno, come dicevo prima, è l’ascolto sincero e aperto, anche di un dolore molto profondo e una rabbia molto accesa. Sarebbe da incoraggiare che la persona cerchi qualcuno con cui si sente in confidenza per iniziare un cammino di sincerità, formulando quello che è successo e chiedere giustizia o altre misure che sente e pensa siano più importanti.
Ho conosciuto vittime che volevano che si chiedesse loro pubblicamente scusa, che volevano incontrare un vescovo affinché questo si scusasse, che volevano denaro, altri il contrario: non volevano vedere più nessun sacerdote, non sarebbero più entrati in luoghi appartenenti alla Chiesa, non volevano denaro.
Ogni persona vittima deve essere capita nella sua situazione, nelle sue esigenze e nelle sue aspettative.
CS&MVH: Quando le vittime incontrano difficoltà ad essere ascoltate all’interno delle loro comunità, quali procedure possono seguire? A chi si possono rivolgere?
PHZ: Quando le vittime di abusi trovano difficoltà a essere ascoltate all’interno delle loro comunità ecclesiali, possono cercare aiuto altrove, in persone di loro fiducia. La persona che ascolta deve mantenere la riservatezza riguardo alle informazioni condivise e non forzare la persona a intraprendere azioni che non si sente pronta a compiere.
Il compito principale di chi ascolta è offrire un ambiente sicuro e supportivo, incoraggiando eventualmente a cercare aiuto da parte di professionisti competenti o ad avvicinarsi a strutture che possano fornire supporto legale, psicologico e spirituale.
A oggi, dovrebbero esistere in ogni diocesi (e sarebbe da auspicare anche per le comunità religiose e per i Movimenti) uffici specializzati per ricevere e gestire segnalazioni di abusi e fornire supporto psicologico, spirituale e legale. Questo tipo di struttura è progettata per garantire che le vittime siano ascoltate con empatia e rispetto, indipendentemente dalle circostanze, e per avviare indagini preliminari quando necessario, sia a livello civile che canonico.
Fonte: Adista Segni Nuovi, n. 38, 2 novembre 2024.
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