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L’altro “Paradiso” di Chiara Lubich, fondatrice dei focolarini

News pubblicata il 21 marzo 2020 • Testo di Valerio Gigante

Negli ultimi mesi si parla molto del movimento dei focolarini. Vuoi per le grandi celebrazioni legate al centenario della nascita della fondatrice, Chiara Lubich, vuoi per il processo di canonizzazione della stessa, di cui il 10 novembre 2019 si è chiusa la fase diocesana, vuoi anche per il forte radicamento – a tutti i livelli e in quasi tutti i Paesi del mondo – che i focolarini hanno ormai raggiunto, divenendo una delle realtà più radicate e strutturate della Chiesa cattolica contemporanea. Se il movimento – che da una fondatrice proclamata beata o santa trarrebbe enormi vantaggi – spinge per una rapida elevazione agli altari, c’è chi rileva nella teologia della Lubich e nella organizzazione del movimento elementi che dovrebbero invitare ad una maggiore prudenza da parte dell’autorità ecclesiastica.

La storia

Partiamo intanto dalla nascita dell’esperienza del focolare. Tutto comincia quando – secondo il racconto successivo della stessa Silvia Lubich (questo il vero nome all’anagrafe) –, giovane di Trento, mentre andava a prendere del latte vicino casa sua, avverte una chiamata di Dio: «Datti tutta a me». Tornata a casa Silvia decide di consacrarsi a Dio per sempre, facendo voto di castità, il 7 dicembre 1943. Cambia nome, affascinata dalla risposta data da Chiara d’Assisi a san Francesco, che, alla domanda su cosa davvero desiderasse, aveva risolutamente risposto: «Dio!». Nei primi anni Lubich riunisce attorno a sé un gruppo di giovani seguaci. L’esperienza determinante per il decollo del movimento avviene però nel 1949. Quell’estate Chiara Lubich si reca con le sue prime “compagne” per un periodo di riposo nella valle di Primiero, a Tonadico, sulle montagne del Trentino. Lì, viene raggiunta da Igino Giordani (1894-1980), allora deputato della Democrazia Cristiana, che da qualche mese aveva conosciuto la spiritualità di Chiara e che diventerà il primo focolarino sposato e cofondatore del movimento; con lui Chiara strinse un patto detto dell’unità durante una celebrazione eucaristica il 16 luglio 1949; fatto questo vive giornate intense di esperienze mistiche e visioni. Negli anni successivi Chiara invia i primi focolarini per una serie di viaggi ed incontri all’estero che permettono una rapida diffusione del movimento prima in Europa e poi negli altri continenti.

La prima approvazione ecclesiastica del movimento arriva a livello diocesano nel 1947, da parte del vescovo di Trento, mons. Carlo De Ferrari. Negli anni successivi il Vaticano approfondisce a lungo la spiritualità e gli statuti del movimento, più volte riveduti, fino all’approvazione dell’allora Pontificio Consiglio per i Laici, nel 1990, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, e in seguito con l’ultima revisione, nel 2007, sotto il pontificato di Benedetto XVI. Approvazione, quest’ultima desiderata dalla stessa fondatrice prima della sua morte, avvenuta il 14 marzo 2008.

Il movimento conta oggi circa 90.000 membri, ai quali bisogna aggiungere 2.000.000 di simpatizzanti provenienti da più di 180 Paesi. Le forme di adesione al Movimento sono molteplici. Ci sono i “focolarini”, donne e uomini che vivono separatamente in piccole comunità (“focolari”) secondo la pratica dei tre voti (povertà, castità e obbedienza): i focolarini potrebbero chiedere o essere iniziati al sacerdozio a servizio del Movimento. Dei focolari fanno parte integrante anche i focolarini sposati, che pronunciano anch’essi gli stessi voti secondo il loro stato di vita e sono detti «promesse di povertà, castità coniugale, obbedienza». I focolarini sposati animano il movimento delle Famiglie Nuove. Poi ci sono i “volontari”, che sono gli animatori di una delle organizzazioni satelliti aperte sull’esterno, chiamato Movimento per una Umanità Nuova, che gode di un ruolo consultivo all’Onu come Ong “New Humanity”.

Si devono citare anche gli altri movimenti sempre fondati da Chiara Lubich durante gli anni e per i quali lei stessa ha scritto i regolamenti interni, come i Gen (abbreviazione di “generazione nuova”): gli adulti con la Lubich rappresentano la prima generazione, la seconda generazione è quella dei giovani (Gen 2), poi la terza dei ragazzi (Gen 3) e la quarta quella dei bambini (Gen 4, femmine e maschi separatamente). Tutte le generazioni successive a quelle della Lubich animano altrettanti movimenti di massa che invece sono misti “Giovani per un mondo unito”, “Ragazzi per l’unità” e “Bambini per l’unità”. La formula «per un mondo unito » o un cenno all’unità focolarina è una costante. Ci sono anche i Gen’s (i seminaristi del movimento dei focolari), e i Gen-re (i giovani novizi/ e di ordini vari) poiché i Focolari dispongono anche di loro centri per la formazione dei sacerdoti-focolarini e dei sacerdoti-volontari (su Adista Notizie n. 4/20 abbiamo dato conto della forte componente “ecclesiastica” del movimento, a tutti i livelli, dal Vaticano alle diocesi più remote, fino alle nunziature).

Ci sono anche i Centri di formazione per i religiosi e le religiose “consacrati per l’unità”, come sono stati definiti in un libro di Città Nuova, la loro Casa Editrice italiana (nel mondo sono decine le case editrici e le riviste della galassia focolarina) che divulga anche una rivista mensile. I Centri di Formazione sono siti a Loppiano (FI), la prima “Mariapoli permanente” detta anche “Cittadella” fondata nel 1964 da Chiara Lubich, ma molti incontri annuali si tengono al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo sui Castelli Romani.

Ci sono poi i musicisti (Gen Rosso che è uno dei focolari maschili di Loppiano), e le musiciste (Gen Verde, uno dei focolari femminili di Loppiano). Per restare nel campo dell’arte: l’étoile della Scala di Milano, Liliana Cosi, è una focolarina.

La teologia

Il cardine della teologia della Lubich si basa su tre diversi passi evangelici: la preghiera di Gesù «ut unum sint» («che tutti siano uno», in Gv 17,23); la promessa di Gesù ai suoi discepoli, «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20); l’abbandono di Gesù sulla Croce espresso nel Suo grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato»? (Mt 27,46).

Ed è proprio l’esperienza dell’unità che è alla base dell’opera di Chiara Lubich. Unità, che dentro il movimento, ha però voluto dire un culto della personalità di Chiara e dei suoi scritti portato all’estremo di una adesione totale ed incondizionata alla sua volontà, trasmessa attraverso la rigida gerarchia che da Chiara passava per i capi-zona e per i capi dei singoli focolari. E che da unità si è spesso trasformata in “uniformità”.

Durante il soggiorno estivo a Tonadico, nel 1949, insieme alla piccola comunità che intorno a lei era nata, soprattutto giovani donne, la Lubich raccontò di aver vissuto intensamente il passaggio del Vangelo di Matteo dell’abbandono di Gesù sulla croce.

Il 16 luglio, cominciò un periodo di intensità straordinaria, conosciuto ora come “Paradiso ’49”. Di questa esperienza Chiara raccolse alcuni appunti, che però sono sempre rimasti all’interno del movimento, ad uso strettissimo di alcune/i prediletti che dovevano tenerli segreti. Il perché lo ha raccontato in diverse occasioni Renata Patti, fuoriuscita dal movimento nel 2008 dopo ben 40 anni di militanza. A Loppiano, durante la Scuola al Centro di Formazione “Mystici Corporis”, Fiore Ungaro, la Focolarina che insegnava la Storia del Movimento, raccontava di quando nel 1950 la Chiesa aveva chiesto a Chiara di bruciare quelle carte del “Paradiso” dicendole che, se fossero state trovate, la sua Opera non sarebbe mai stata approvata. In ogni caso quello che Chiara Lubich racconta di aver “visto” nel suo «paradiso del ’49» non era per tutti, compresi i focolarini alle prime armi. Si trattava di rivelazioni cui si poteva accedere solo salendo nelle gerarchie interne. Come un culto misterico a cui si veniva progressivamente iniziati.

Per questo, le pagine del “Paradiso ’49” non vennero mai distrutte. Alla morte di Chiara Lubich un estratto di quelle riflessioni manoscritte fu pubblicato sul n. 177 di Nuova Umanità (maggio-giugno 2008/3), la rivista bimestrale di cultura del movimento. Una versione più ampia di quel testo, commentato dalla stessa Lubich, è però venuta in possesso di Adista. Si tratta di un dattiloscritto steso e utilizzato per un incontro che Chiara fece dal 7 al 13 ottobre del 1974 a Sierre, nel Canton Vallese (Svizzera), dove Chiara andava in vacanza almeno una volta all’anno e dove si recava quando “non stava bene” in quei periodi che venivano presentati ai focolarini come le “notti oscure” che lei stessa a volte ha paragonato al travaglio di mistici come Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, ma che per alcuni erano vere e proprie crisi depressive, che almeno in un caso hanno richiesto l’ospedalizzazione in clinica psichiatrica (dal 1991 al 1993, circa due anni in una clinica sul lago di Costanza) soggiorno obbligato per lo stato della sua salute che le impedì di partecipare ai funerali del fratello Gino Lubich, morto il 4 settembre 1993.

Nelle prime pagine del dattiloscritto (del quale durante quell’incontro vennero distribuite delle fotocopie) si legge della necessità di trasmettere i contenuti legati alle visioni avute da Chiara nel 1949 a coloro che facevano parte della spiritualità focolarina: «I popi [ossia i focolarini uomini e donne, NDR] non possono andare avanti senza conoscere quelle carte», disse in quella occasione Chiaretto (don Pasquale Foresi, primo focolarino-sacerdote, assistente ecclesiastico del movimento per un tempo, poi co-presidente e considerato da Chiara cofondatore con lei e con Igino Giordani, chiamato Foco).

Infatti, quando Chiara spiegò quelle pagine, erano presenti con lei nel giardino della sua casa in Svizzera Chiaretto (suo teologo e filosofo di riferimento al quale già dal 1950 aveva affidato il compito di tradurre in opere concrete le sue intuizioni mistiche, di esserne cioè “l’incarnazione”), Giulia Folonari chiamata Eli (la sua segretaria personale) e Giorgio Marchetti chiamato Fede (il capo-ramo cioè capo della sezione dei focolarini maschi). Ma torniamo al documento, che durante l’incontro del 1974, Chiara spiegò ad alcuni capi-zona, ossia la troika che gestiva il movimento in Europa.

Il testo che abbiamo preso in considerazione e che riporta delle chiose fatte da Eletta Fornaro (che era presente con gli altri capizona essendo lei stessa la capo-zona – insieme ad un focolarino di voti perpetui – di alcune regioni del nord Italia) durante le spiegazioni che Chiara faceva (precisamente dal 7 al 13 ottobre del 1974) delle sue “visioni intellettuali” dell’estate 1949 è di 107 pagine.

Questo documento è stato depositato nel 2015 al Tribunale ecclesiastico diocesano di Frascati che si occupava delle cause di canonizzazione di ex-membri focolarini, affinché potessero essere autenticate e affinché il Vaticano potesse studiarle ed avere un più completo giudizio sulla spiritualità di Chiara Lubich. E forse anche su alcuni aspetti controversi della sua teologia.

Il testo di “Paradiso ’49”

Afferma Lubich a p. 46 del dattiloscritto, parlando degli eventi successivi alla sua morte come di una nuova Pentecoste in cui lo Spirito Santo scenderà sui suoi seguaci:

«Oggi compresi come nell’attimo della mia morte cadrà sull’anima lo Spirito Santo che è in me in tutta la sua pienezza e cadrà su di loro e su Foco radunati, che farà le parti di Maria».

Che questa morte non dovesse essere un evento lontano Chiara lo chiarisce subito dopo, a p. 47, rivelando un lato che può apparire di forte melanconia:

«Ho sempre in mente che sia l’ultimo anno, che sian gli ultimi mesi, sempre, sempre… così, ecco».

E subito dopo, parlando di se stessa e della sua esperienza terrena, paragonata a quella di una santa, afferma:

«Ciò che importa è che noi non guardiamo ai santi se non come a fratelli da imitare, ma non da imitare pedestremente [...] Il conoscere troppo bene la vita dei santi e l’averla ammirata, se può aver fatto molto bene, può essere un grave inciampo perché può legarci, può incitarci a dettar leggi noi al Signore in questa divina avventura che è tutta sua. Anche il pensare che è bene scrivere per i posteri ciò che Iddio ci va illustrando è un pensiero contro la perfetta carità e appare ispirato alla carità. Tutte queste carte che ho scritto valgono nulla se l’anima che le legge non ama, non è in Dio. Valgono se è Dio che la legge in Lei».

Della sua esperienza mistica Chiara parla come di una serie incessante di visioni (lei li definisce “quadri”) che copre un arco di tempo di più di due anni, dal 20 luglio 1949 fino al settembre del 1951, durante il quale le vengono mostrati circa 150 “quadri”, trinitari, che realizzano la sua esperienza del paradiso e le nozze mistiche della sua anima, che è in unità con quella delle sue sorelle e di Igino Giordani partecipi di quella esperienza, con il Verbo. L’idea del Verbo che è venuto ad abitare in lei come avvenne in Maria di Nazareth torna in diversi passaggi. Ad esempio a p. 71:

«La Madonna ci ha consacrati a lei come le sante specie si transustanziano (io ho usato questa parola perché mi piaceva la parola “cambiare sostanza”) nel corpo, sangue, anima e divinità di Gesù. Così questa consacrazione operata da Maria per opera di Gesù transustanziò, per così dire, noi in Maria, per cui abbiamo ora la sua vera carne e cioè carne immacolatizzata».

A p. 99 sembra voler rivelare ai suoi più intimi seguaci una questione molto «delicata» a tal punto che – afferma subito dopo

«così siete ancora più invitati a tacere e non parlare di queste c[ose]».

E spiega:

«Ecco, è forse l’unica volta, forse un’altra volta che adesso non ricordo, che qui ho sentito una parola proprio forte, nell’anima, durante la meditazione. E che mi è suonata dentro subito come “ti cingo dentro” ma la parola era “incinta”. E io ho capito che Cristo prendeva posto nelle carni mariane, e che contemporaneamente capivo che le prendeva in me, le prendeva nell’anima delle pope».

Un episodio che nella versione – assai più breve di quella dattiloscritta del 1974, pubblicata su Umanità Nuova dopo la morte della fondatrice - viene in parte edulcorata:

«Una volta, dopo la Consacrazione a Maria, avvertii una parola nell’anima che mi significava “cinta dentro” e mi sembrò che Dio mi volesse misticamente ripetere con l’anima consacrata “Maria” un’incarnazione».1

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