L’irresistibile ascesa dei focolarini. L’altra metà della Chiesa
News pubblicata il 3 luglio 1997 • Testo di Sandro Magister
Nel nome ufficiale, Opus Mariae, ricordano la mitica Opus Dei. Ma sono più noti come focolarini. Li ha fondati e li dirige una donna, Chiara Lubich, 77 anni come Karol Wojtyla, nata a Trento, domiciliata a Rocca di Papa. Dio è anche femmina, disse un giorno Albino Luciani, il papa del sorriso, e Chiara Lubich deve pensarla anche lei così. Ha ottenuto dal suo successore Giovanni Paolo II che i focolarini avranno sempre a capo una donna. Privilegio unico, per un movimento che conta tra i suoi aderenti anche migliaia di preti e frati. E centinaia di vescovi.
I focolarini sono gran fenomeno della Chiesa odierna. Stando agli ultimi numeri, hanno sorpassato tutti gli altri movimenti cattolici nati in questo secolo. E in più sono riusciti a garantire di sé un’immagine immacolata e radiosa, di arcobaleno perenne. Fino a oggi. Perché oggi anche per loro l’incanto rischia di rompersi. Un libro di un loro ex dirigente, l’inglese Gordon Urquhart, stampato in Italia da Ponte alle Grazie con il titolo Le armate del papa, viene per la prima volta a tracciare dei focolarini un ritratto molto meno esaltante. Lui dice molto più veritiero.
C’è infatti una cosa che i focolarini non amano: che si semini il dubbio dentro le loro certezze ispirate. A cominciare dai racconti sulla genesi. La loro non è storia, è sacra rappresentazione. Ecco Chiara Lubich a 19 anni, maestrina, padre socialista e fratello comunista. Va in pellegrinaggio a Loreto e ha la prima illuminazione. Vede la santa casa di Nazareth e sogna sé alla testa di cortei di vergini come Maria e san Giuseppe. Eccola nel 1943, a Trento, uscir di casa per la spesa. E invece lungo la via s’imbatte in Dio che la chiama a esser tutta sua. «Alzai gli occhi al cielo e risposi: sì». L’anno dopo, in una cantina sotto le bombe, Chiara «fa unità» con le prime compagne, le stesse che ancor oggi le sono intorno e sembrano la sua ristampa in tutto: nel dire, nel muoversi, nel vestire, nel taglio dei capelli. «Ci dicemmo pronte a morire l’una per l’altra». Poi la nascita dei primi focolari, nuclei di donne votate alla castità e, a giusta distanza, anche di uomini. E poi il primo focolarino sposato, l’allora deputato della Democrazia cristiana Igino Giordani, padre di Brando, futuro uomo Rai. E i ritiri estivi sulle Dolomiti, nella valle di Primiero, a Tonadico. È lì che Chiara Lubich ha le visioni celesti, nel 1949. Per più giorni, dopo la comunione mattutina, «entra in paradiso».
Quello che Chiara Lubich ha visto nel suo «paradiso del ’49» non è per tutti. Per il volgo solo qualche rado cenno. E poche briciole anche per i focolarini alle prime armi. Alle rivelazioni si accede solo salendo di grado nelle gerarchie interne. «Come nella gnosi, dove i misteri sono riservati agli iniziati», commenta Urquhart. Lui, che negli anni Settanta fu tra i capi dei focolarini d’Inghilterra, seppe che nelle sue visioni Chiara Lubich aveva conosciuto i «disegni» di Dio sul futuro di lei, del movimento e di alcuni suoi singoli esponenti. Ad esempio Pasquale Foresi, figlio d’un altro parlamentare dc, cui fu detto che doveva farsi prete, il primo focolarino prete. Ubbidì. E don Foresi, che non mancava di talento, rapidamente ascese a numero due del movimento. Anzi, a «cofondatore». Sin quasi a oscurare la stella della fondatrice. Per finire invece lui eclissato già negli anni Sessanta. Misteriosamente. Oggi il teologo più in vista dei focolarini è don Piero Coda. Che però non è un Foresi bis. Valente come teologo, e forse proprio per questo, don Coda non ha mai contato nelle vere gerarchie del movimento.
C’è ruggine tra i focolarini e gli intellettuali, specie se d’intelletto critico. All’inizio la parola d’ordine fu: «Mettete i libri in soffitta». Poi hanno raddrizzato la rotta. La loro editrice, Città Nuova, s’è messa a stampare pregevoli collezioni di classici della letteratura cristiana antica, compresa una monumentale edizione critica delle intere opere di sant’Agostino. Tutto in nome dell’idea: «Siamo i primi cristiani del secolo XX». Ma poi pochissimo di questi tesori di sapienza entra nei programmi di formazione dei seguaci. Dove invece spopolano le decine di volumetti di Chiara Lubich. Che come scrittrice non brilla, e neanche come teologa, nonostante una recentissima laurea honoris causa presa a Manila. Ma ha dalla sua «l’aver sperimentato Dio» e «l’avere in sposo Gesù abbandonato».
Tutto ruota attorno al vissuto della fondatrice, alla sua autobiografia che si sa scritta da mano celeste e quindi non può essere contraddetta. Chi vi si imbatte e ne è «folgorato» (parola di un focolarino insigne, il vescovo di Aquisgrana Klaus Hemmerle) non ha più scampo. Basta coi sofismi. Venite e vedrete. Il Regno di Dio eccolo qui. Con «Gesù in mezzo».
Per andare a vedere questo Regno di Dio quaggiù, la meta giusta è Loppiano. Autostrada del sole, casello di Incisa Valdarno. Pochi chilometri in direzione Chianti e ci siete. «Loppiano è città fatata, goccia di paradiso scivolata tra le nuvole sulla terra», vi garantisce Silvana Veronesi, una delle prime compagne di Chiara Lubich. Ogni domenica di visitatori ne arrivano centinaia. Andrete a spasso per una giornata tra prati pettinati e vigne, casolari e ville, botteghe artigiane e cantine. Più la messa, il pranzo e due sedute di musical, filmati, testimonianze. Da uscirne beatamente storditi.
«La nostra divisa è il sorriso». Proprio così. Suonano, cantano e danzano per voi in spettacoli multicolori e lieti. In un tripudio d’unità tra le razze bianche nere e gialle. Solo i sessi stanno separati. Di complessi musicali per i palasport di mezzo mondo i focolarini ne fanno girare due, il Genverde, di sole donne, e il Genrosso, di soli maschi. Sono su piazza da trent’anni giusti. Non era ancora volata la prima molotov sessantottina che Chiara Lubich aveva già fiutato i tempi. Lanciò i suoi giovani a far la «rivoluzione dell’arcobaleno». Altro che Vietnam, Che Guevara, Mao. In Cina agitavano il libretto rosso? I giovani focolarini alzarono il loro libretto giallo. Con stampate le massime della fondatrice.
Oggi lo spettacolo viaggia via satellite. I grandi meeting dei focolarini, Genfest e Familyfest, devono essere obbligatoriamente planetari. Chiara Lubich predica «umiltà e reticenza, mai mettersi in mostra», ma poi in realtà l’auditel ha il posto d’onore nei registri dell’Opus Mariae. Il record provvisorio è del Familyfest tenuto il 5 giugno 1993 al Palaeur di Roma: satelliti 13, stazioni televisive 200, paesi coperti 150, continenti 5, spettatori 686 milioni.
Giovanni Paolo II, che di carisma televisivo s’intende, ne è entusiasta. Le giornate mondiali della gioventù che bandisce ogni due anni, le ultime a Denver e Manila e la prossima a Parigi in agosto, ricalcano pari pari i Genfest dei focolarini, che infatti vi presenziano in massa. Ma è soprattutto il «genio femminile» di Chiara Lubich che piace tanto a questo papa. Se lui è san Pietro, Chiara è la Madonna. Perché nella Chiesa ci vogliono tutti e due gli elementi: il «petrino» e il «mariano». E i focolarini, di cui la Lubich è la quintessenza, sono di Maria la «presenza sulla terra e quasi una continuazione». Tesi audaci. Ma Giovanni Paolo II gliele ha lasciate scrivere perfino negli statuti.
Finita è la quaresima, quando il Sant’Offizio guardava male questa gente strana, mezzi comunisti e mezzi protestanti e con una donna a capo, per di più visionaria. Oggi ai focolarini nella Chiesa vogliono tutti un gran bene e tutti aprono le porte: cardinali, vescovi e curati di campagna.
I focolarini coi voti sono tenuti a spogliarsi delle loro ricchezze. Fanno vita comune e non trattengono una sola lira di ciò che guadagnano. Anche gli sposati devono versare il «superfluo». Ma niente paura. «Più date e più vi sarà dato». Di tutto, di più. La comunità prende, la comunità dà, a discrezione dei suoi capi e, su su, della fondatrice. Dall’acquisto di un libro a una vacanza, tutto nella vita di ciascuno è vidimato e spesato dalla comunità. Per chi merita, anche con larghezza: l’elegante e vario guardaroba di Chiara Lubich, firmato "I gigli del campo", non assomiglia proprio a quello ascetico di madre Teresa di Calcutta. Il mondo dei focolarini vuol essere un generoso assaggio di «terra nuova e cieli nuovi», dove tutto sia buono, abbondante e soprattutto ben ordinato. Le loro cittadelle (dopo Loppiano ne hanno create altre 20, in tutti i continenti) vogliono essere piccoli Eden prima del peccato originale. «Per far vedere come sarà il mondo una volta trasformato dall’Ideale di Chiara». Millenarismo in versione soft.
Anche i gesuiti del Seicento avevano costruito in Paraguay le loro città del sole. E proprio da quelle parti, in Brasile, Chiara Lubich ha avuto nel 1991 un’altra delle sue folgorazioni. Ha lanciato «un nuovo modello economico». Nuovo rispetto a quelli «dell’uomo vecchio», sia collettivisti che liberisti. L’ha battezzato «economia di comunione»: un terzo dei profitti all’azienda, un terzo ai poveri, un terzo all’Opus Mariae. In tanti tra i suoi seguaci l’hanno presa in parola: 750 piccole aziende di focolarini si sono già votate a questa «economia del dare», in tutto il mondo Italia compresa. Con puntuale tempismo, Chiara Lubich vuol insomma lanciare i suoi devoti anche nei settori emergenti e virtuosi del non profit, dell’investimento ambientale, delle banche etiche, delle charity. Le vie dell’«Ideale» sono infinite. Come non restarne incantati?
Intervista a Chiara Lubich
In gennaio, in Thailandia, Chiara Lubich ha parlato a 800 monaci buddisti e al loro gran maestro Ajahn Thong. In maggio ha predicato, prima donna bianca, nella moschea di Malcom X e dei Musulmani neri, a Harlem. Si può diventare focolarini anche restando buddisti o musulmani. La fondatrice conferma:
«Di non cristiani ne abbiamo 30.000».
Ma una volta i missionari non partivano per convertire e battezzare gli infedeli?
«Questa era l’evangelizzazione classica. Ma oggi è l’ora del dialogo. Noi testimoniamo la nostra vita cristiana e questo basta perché gli altri ne siano colpiti».
Non vi capita d’incontrare sospetto o diffidenza?
«No, mai. Solo ammirazione. Un monaco buddista thailandese ccui abbiamo dato il nome di Luce Ardente è stato nella nostra cittadella di Loppiano, vicino a Firenze. La sera metteva le scarpe fuori della stanza e, senza chiedere niente, la mattina le trovava lucidate. Perché fate questo?, ci chiedeva. Perché ti vogliamo bene, rispondevamo. Era commosso».
Sempre così da voi: un mondo tutto felice. Troppo bello per essere vero...
«La nostra gioia nasce dal nostro amare il dolore. Per amare l’altro bisogna completamente svuotare se stessi. Se l’altro fa anche lui questa rinuncia a sé, scatta l’unità. E a chi fa unità, Gesù ha promesso la pienezza della gioia».
Ma possibile che le vostre siano tutte fiabe a lieto fine, con lei come fata?
«Che la storia dei focolari sia meravigliosa, è la verità».
E quelli che se ne vanno via? Di motivi critici ne avranno.
«Quelli che ci lasciano lo fanno perché non hanno voluto morire: non hanno voluto rinnegare se stessi e prendere la croce. Oppure perché sono psicologicamente inabili alla vita del movimento. Oppure perché sono stati soverchiati dalle tentazioni».
Anche il Vaticano, all’inizio, vi guardava con occhio critico.
«In effetti ci hanno messo sotto studio per anni. Ma ricordo che, l’uno dopo l’altro, ogni loro ispettore se n’è sempre andato via commosso, conquistato da quello che aveva visto».
E oggi avete persino il ramo dei focolarini vescovi. Degli italiani, chi c’è?
«Ennio Antonelli, il segretario della Conferenza episcopale. E poi il vescovo di Pompei, Francesco Saverio Toppi; quello di Nocera Inferiore, Gioacchino Illiano; quello che è coadiutore all’Aquila, Giuseppe Molinari».
E tra i cardinali?
«Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga e presidente della Conferenza delle Chiese d’Europa, Paul Poupard, Paul Augustin Mayer, Franciszek Macharski».
Lei viaggia come il papa. Dove farà il suo prossimo Tour?
«In Argentina e Brasile. Ho incontrato il presidente brasiliano Fernando Cardoso e la moglie quando sono stati in Italia. Sono così entusiasti delle nostre realizzazioni laggiù, che mi daranno il Cruzeiros du Sol, la massima onorificenza brasiliana».
Numeri di successo
I loro numeri cantano successo. Da 69.000 che erano dieci anni fa, sono balzati oggi a 109.000, in 198 paesi. Questi i focolarini militanti. Ma in più ci sono gli aderenti e i simpatizzanti, dati a 2.218.000.
Il tronco portante sono i focolari, nuclei di vita comune composti da sole donne o da soli uomini, con voto di castità. Anche le coppie sposate possono farvi parte: lui aggregandosi a un focolare maschile, lei a uno femminile. Oggi in tutto il mondo questi focolarini in senso stretto sono 5.823, distribuiti in 385 focolari femminili e in 283 maschili.
In Italia i focolari femminili sono 51 e i maschili 49. Vi fanno vita comune in 1.547. Sono focolarini, tra i membri italiani del parlamento, Lucia Fronza Crepaz, del Partito popolare, e Giuseppe Gambale, della Rete. E’ focolarina con voto di castità Liliana Cosi, stella della danza classica.
Ma oltre al tronco ci sono i rami. Il primo è quello dei volontari, che si distinguono dai focolarini perchè non fanno vita comune ma abitano per conto proprio. I volontari animano a loro volta un movimento a più largo raggio, chiamato Umanità nuova. Idem le famiglie focolarine. Da esse si irradia un movimento più ampio di nome Famiglie nuove.
Poi c’è il ramo giovani, Gen, generazione nuova. Ragazzi e ragazze svolgono attività separate. Altrettanto avviene per quelli con meno di 17 anni, detti Gen 3, e per i bambini, detti Gen 4. Vi fanno alone due movimenti più ampi, Giovani per un mondo nuovo e Ragazzi per l’unità.
E poi ci sono i rami ecclesiastici: vescovi, preti, religiosi e religiose, studenti di seminario. Il ramo vescovi, ufficializzato nel 1996, ne conta 780.
I focolarini hanno un’editrice, Città Nuova, presente in 27 paesi; un periodico dello stesso titolo con 38 edizioni in 22 lingue compreso l’arabo e il cinese; un bimestrale di cultura, "Nuova Umanità". Ma la pubblicazione che davvero orienta il movimento è un semplice foglietto mensile scritto da Chiara Lubich, "Parola di Vita". Tradotto in 80 lingue, è diffuso in 3.400.000 copie. Ma grazie a radio e tv amiche raggiunge, calcolano, 13 milioni di persone di tutto il mondo.
Ciarlieri nel dare numeri sulla loro crescita, i focolarini sono più elusivi nel dar conto delle defezioni. «Tra ingressi e abbandoni il rapporto è di 5 a 1», dice Guglielmo Boselli, direttore di Città Nuova. Ma a contare i focolarini in senso stretto, non si direbbe proprio. Se oggi sono 5.823, nel 1987 erano 6.345. In dieci anni sono andati sotto di 522. Cresceranno i simpatizzanti, ma tra quelli alla stanga sono in tanti a mollare.
Quelli del Genrosso
Genrosso, il complesso rock dei focolarini, ha festeggiato i suoi trent’anni lo scorso 18 gennaio con un concerto gremitissimo al Palaeur di Roma. E per la prima volta ha messo in vendita al grande pubblico un suo Cd, distribuito dalla Emi.
Musica, danze, parole di Genrosso sono una festa perenne di bontà, di cielo sereno, di ottimismo senza brividi. Fin troppo. «Ma siamo fatti così», dice Mite Balduzzi, cantante e autore di testi, colonna del gruppo. «E il pubblico ci ama così». Non solo in Italia, ma in mezzo mondo, dove Genrosso ha già fatto più di 100 tournée, da Buenos Aires a Hong Kong.
Negli anni Settanta li scambiavano per quelli di "Viva la gente". Negli anni Ottanta hanno tentato la rock opera. Ora danno solo concerti. Le loro canzoni parlano tanto d’amore. Ma mai dell’amore a due, tra uomo e donna. I Genrosso sono casti, hanno i voti. Vogliono bene a tutta l’umanità.1
1. Fonte: l’Espresso n. 26, 3.7.1997.
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