Testimonianze

Degli errori di Chiara Lubich (o di chi l’ha mal consigliata)

F.M.

“Ciò che trasforma lo stato in inferno,
è il tentativo dell’uomo di farne un paradiso”.
—Hölderlin, Hyperion, 1797.

In occasione della pubblicazione di un libro e di alcuni articoli critici sul Movimento dei Focolari mi è stato chiesto un parere. Premetto che non ho più nessun tipo di contatto col mondo focolarino, da anni ormai. Le posizioni cui sono giunto, la speculazione, la ricerca che mi hanno portato alla scelta di prendere le dovute distanze, sono intrinsecamente incompatibili con le posizioni di chi invece persevera su questa strada.

Mi giovo quindi di un punto di osservazione da cui contemplare le mie scelte passate, il Movimento, Chiara stessa. È una prospettiva che non esclude la critica e che mi consente di chiamare le cose col loro nome o almeno provarci. Per i Focolarini ero diventato ingestibile; i miei dubbi, le mie perplessità, la mia fede che iniziava a vacillare, erano diventati scomodi per loro, e come in una malattia autoimmune, mi sono sentito “rifiutare” dall’organismo cui facevo parte.

Sono uscito da quella che ritenevo ormai essere diventata una grotta angusta dove vedevo solo ombre proiettate sul muro, per provare a vedere la vera sorgente della luce e scoprire il mondo con i miei occhi. E quando uno trova le risorse per compiere questo passo, non c’è poi più nulla che ti richiami indietro. Forse solo il cuore di sapere che tanti amici sono rimasti “dentro”, prigionieri delle ombre. La storia del mito finisce però in maniera tragica. Chi ritorna indietro per amore degli amici, viene da questi ucciso, perché questi ultimi non sono stati capaci di affrontare la nuova realtà e la nuova condizione di chi prima era uno di loro. Preferiscono tenersi quindi le ombre e far fuori l’amico. Interessante no?

Sul mio blog provo a raccontare alcuni di quelli che per me sono stati degli errori di Chiara o di chi l’ha male consigliata, pur concedendole un’ipotesi di benevolenza, certo come sono della bontà delle sue intenzioni almeno pari alla sua ingenuità. Saranno i posteri a vederci forse più lucidamente. Si tratta di spunti di riflessione, non ho la pretesa di essere esaustivo e nemmeno credo di avere la verità in tasca. Queste sono le mie considerazioni, frutto della mia esperienza e del mio vissuto all’interno del Movimento dei Focolari.

Immagino che per tanti non sarà semplice trovarsi d’accordo con i contenuti che seguono, ma tant’è. Per chi avesse argomenti contrari, basta ribadire punto per punto con la pace e serenità degli angeli. Non accetterò prese di posizione talebane e discorsi fuorvianti tipo “eh ma non si può far di tutta un’erba un fascio”. Insomma mi auspico un dialogo tra adulti e non un guazzabuglio tra immaturi. Nella mia vita professionale ci critichiamo quotidianamente tra colleghi, sempre con rispetto, ma non passa giorno che il nostro lavoro comune non venga vagliato sotto la sferza di aspre critiche, le sole che permettono di migliorare e migliorarsi.

La pretesa invece di aver ricevuto la perfezione di un mandato divino si qualifica da sola. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’autoreferenzialità di cui la chiesa è da secoli malata cronica e da cui il Movimento non è certo esente, è la causa prima di una crisi che mai nella storia era stata affrontata con proporzioni e sofferenze tali. Ed è anche la nemesi del Movimento dei Focolari che in nemmeno due generazioni ha sperperato un patrimonio umano e spirituale di cui prima o poi dovrà rendere conto davanti a dio e agli uomini.

Sul mio blog, con cadenza settimanale, sto pubblicando quelli che secondo me sono stati gli errori di Chiara o di chi l’ha mal consigliata. Pur sempre facendo salva una “ipotesi di benevolenza”. Sono infatti convinto che almeno Chiara abbia sempre agito in buona fede.1

In principio era “...perdere la personalità!”

Il primo errore di Chiara che mi viene in mente e che ho pure subìto in parte durante gli anni di vita in comunità nel Focolare, è senza timor di smentita la forzatura, più o meno esplicita, a rinunciare alla propria individualità, con tutto quanto ne consegue. È un errore grave, imputabile a Chiara stessa e in un secondo momento alla solerzia di chi devotamente voleva assecondarla senza correre mai il pericolo di contraddirla. Guai. Che questa pretesa nasca nella mente di Chiara lo testimoniano i suoi tanti scritti, soprattutto quelli dei primi anni. Alcuni esempi:

“L’Unità esige anime pronte a perdere la propria personalità, tutta la propria personalità.”
“Non c’è Unità se non là dove non esiste più personalità.”

Storicamente la Lubich a fine Anni Novanta ha dovuto correggere il tiro e correre ai ripari. Ma era, ahimè, troppo tardi e comunque venne ostacolata dai suoi più stretti collaboratori. Mi riferisco al famoso periodo del “rinnovamento” che interessò solo il ramo maschile e che, come avrò modo di spiegare più avanti, venne censurato e ignorato da quello femminile.

“Tagliarsi la testa”, “fare unità”, “perdersi nella volontà del proprio responsabile” manco fosse dio in persona, e amenità del genere erano all’ordine del giorno e sono il bel frutto di questa stortura iniziale che le ha generate tutte. Rinunciare quindi alla propria individualità, al proprio pensiero, alla diversità di vedute. Cosa mai sarebbe potuto andare storto con premesse del genere? Mi ricordo di un focolarino, uno di quelli che sotto sotto crede di essere migliore e con la scusa della correzione fraterna cerca di plasmarti a sua immagine e somiglianza; ecco questo tipo soleva ripetermi come una colpa “eh ma tu vuoi essere sempre diverso!”. Lui invece era “allineato”, “fedele alla linea”, beato lui poverino.

E non mi si venga a dire “...eh ma bisogna saper discernere il linguaggio spirituale, inquadrare Chiara nell’alveo della teologia spirituale, del linguaggio dei mistici…”. Negare che questo tipo di premesse abbiano sovente contribuito a creare storture, abusi di ogni ordine e grado e infine al declino della sua stessa Opera, è sotto gli occhi di tutti. Chiara non era in grado di affrontare qualcuno che le stesse di fronte alla pari e avesse un pensiero diverso dal suo. Lei aveva patologicamente bisogno di conferme.2

Il grappolo di carismi

Chiara Lubich ha avuto nevroticamente paura del suo stesso carisma che forse al culmine della sua ispirazione intuiva come “grappolo di carismi”. Ha avuto paura della molteplicità, dell’individualità, di tutto quello che lei riteneva non una eco pura del suo pensiero e ispirazione. Ben si intuisce quindi la povertà di risorse cui ha costretto la sua opera e il perché di un’emorragia continua di vocazioni. Si intuisce ancor meglio poi la composizione del gruppo dei suoi collaboratori e collaboratrici più stretti. Un’accolita di yes-men & women che non hanno mai avuto il coraggio di contraddirla, ma peggio non hanno perso occasione per confermarle la sua eccezionalità, il suo essere vicaria della Madonna in terra, quando non anche la Madonna stessa — basti pensare a tutte le canzoni scritte dal Genverde e Genrosso in onore della Madonna, ma segretamente dedicate a Chiara. Le hanno fatto credere di essere portatrice di un carisma unico e irripetibile che avrebbe dovuto salvare e chiesa e umanità. L’hanno sostenuta e confermata nei suoi deliri mistici e hanno vissuto di luce riflessa, sgomitando fra loro per guadagnarsi un posto più vicino a lei per poi pavoneggiarsi di un rapporto diretto con la fondatrice, in definitiva con Dio quindi. Nevrosi collettiva.

Sarebbe interessante, invece, stilare una lista di tutti quelli che non si sono prestati a questo gioco e hanno provato a far ragionare Chiara o hanno posto dei distinguo alle sue manie di grandezza. Sono tutte persone che hanno pagato con l’allontanamento (o peggio, con la damnatio memoriae) l’aver voluto ascoltare prima la propria coscienza. Il cardinale Newmann diceva che la “propria coscienza viene prima del Papa”, figurarsi quindi di Chiara. Ma lei, come vicaria della Madonna in terra, ha avuto pure l’ardire di “comandare” il vicario di Cristo in terra, il Papa, così come alle nozze di Cana. Questo giochetto, infatti, le è ben riuscito con Giovanni Paolo II che avrebbe dovuto e potuto mettere un freno alle manie di grandezza della Lubich, ma ahimè non l’ha fatto. Ne ha esaltato il “genio femminile” e ha acconsentito che il Movimento avesse sempre alla sua guida una presidente donna. Saranno i posteri e il tempo a dire se ha avuto ragione.

Una delle idee [mutuata da San Doroteo di Gaza (505-565 d.C.)] su cui Chiara poneva sempre molta enfasi è stata quella dei raggi e del sole. Ciascuno deve percorrere il proprio raggio e più ci si avvicina al sole più i raggi convergono e ci si avvicina gli uni agli altri. Ma Chiara non ha mai detto che si debba percorrere tutti lo stesso e unico raggio. Il suo, ahimé, era il sogno dell’unità, non dell’uniformità. Almeno nei primi tempi del suo Movimento. “Essere tante piccole Chiara” diventò però poi un imperativo, esplicito o meno, cui era difficile sottrarsi. In questo Chiara, ahimé, ha abdicato a una genuina intuizione e ha commesso un grave errore. Di conseguenza, tutto è stato declinato in maniera storta, dando vita a tanti disagi, abusi morali e spirituali, e molte sofferenze inutili.

Sono persuaso che non esista una strada, un progetto di dio che valga in egual modo per tutti, cui conformarsi a ogni costo. Se veramente dio esiste, lo penserei più propenso alla molteplicità, alla pluralità, alla prospettiva che ciascuno sia unico e insostituibile. Non sono di certo categorie del vivere e pensare focolarino, ahimè. Certamente accettare e nutrire l’idea di un grappolo di carismi dà le vertigini. Ed è molto più complesso farsi carico di fronte a dio e agli uomini della propria unicità e provare a darle frutto. È decisamente più semplice che qualcuno ti dica invece come vivere la tua vita. Ma si dimostra così una “maturità” ovina o quantomeno molto infantile. Non è un caso che Chiara abbia impostato tutto in maniera matriarcale a partire da sé stessa, come “mamma” attorniata dai suoi bambini. Infatti i Focolarini si chiamano fra di loro “popi” che in dialetto trentino significa proprio bambini. Si tratta quindi di un errore sistemico e strutturale. La riprova? provate a farlo notare ai Focolarini. Si inalberano come vipere reagendo in maniera scomposta e dimenticandosi molto in fretta il “porgere l’altra guancia”. Provare per credere.

Martin Buber ne Il cammino dell’uomo ci insegna invece che:

Dio non dice: “Questo cammino conduce fino a me, mentre quell’altro no”; dice invece: “Tutto quello che fai può essere un cammino verso di me, a condizione che tu lo faccia in modo tale che ti conduca fino a me”. Ma in che cosa consista ciò che può e deve fare quell’uomo preciso e nessun altro, può rivelarsi all’uomo solo a partire da se stesso. In questo campo, il fatto di guardare quanto un altro ha fatto e di sforzarsi di imitarlo può solo indurre in errore; comportandosi così, infatti, uno perde di vista ciò a cui lui, e lui solo, è chiamato.

Ergo: imitare, scimmiottare, citare ogni due per tre Chiara non funziona.

Così il cammino attraverso il quale un uomo avrà accesso a Dio gli può essere indicato unicamente dalla conoscenza del proprio essere, la conoscenza della propria qualità e della propria tendenza essenziale. “In ognuno c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessun altro”. Ma ciò che è prezioso dentro di sé, l’uomo può scoprirlo solo se coglie veramente il proprio sentimento più profondo, il proprio desiderio fondamentale, ciò che muove l’aspetto più intimo del proprio essere.

Insomma l’esatto contrario della normale prassi della vita del Focolare.

Arturo Paoli ne La pazienza del nulla ha delle parole, a questo proposito, davvero illuminanti:

Mi sono chiesto se la tappa della “sequela Christi”, tappa assolutamente personale e irripetibile, sia possibile viverla in un ambiente con uno statuto preciso e vincolante. Mi sono chiesto se strutture comunitarie come quelle che conosciamo [come il Focolare, NdR] permettano lo sviluppo e la liberazione della persona, o se la persona debba assoggettarvisi restando a livello di “oggetto”. Penso che una libera maturazione sia possibile quando la comunità – per il numero dei componenti, per l’apertura reciproca, per la libertà di espressione lasciata a ciascuno — è consapevole della necessità di tale maturazione personale nella pluralità delle esperienze. Santa Teresa diceva – e io sono perfettamente d’accordo con lei – che si può vivere questa tappa a condizione di avere degli amici.3

La dissonante narrazione dei “primi tempi”

Chiara Lubich ha avuto paura del suo stesso carisma e dell’opera cui aveva dato inizio, congelandola in una narrazione che ha come titolo “i primi tempi”. E così il Movimento che era nato come rinnovamento, che si proponeva come “nuovo”, innovativo e giovane, si è trasformato ben presto in una gerontocrazia incartapecorita, con una struttura matriarcale e piramidale al cui confronto in Corea del Nord sono principianti. Peggio ancora è aver rinunciato al soffio dello Spirito che davvero fa nuove tutte le cose. Invece l’imperativo per tutti era “tornare ai primi tempi”, nella testa di Chiara e dei suoi più stretti collaboratori, una sorta di Età dell’Oro focolarina. Forse perché nei primi tempi ci si rimboccava davvero le mani, si aiutavano i poveri e ci si calava nelle piaghe della società di allora, del primo dopoguerra. Era un modo molto concreto di vivere e mettere alla prova le parole del vangelo.

Poi, ahimè, si è insinuato l’imborghesimento: soldi, case, agi, viaggi e risorse. E l’unica occupazione concreta dei Focolari è diventata ripetere sino alla nausea la storia del Movimento e vivere della narrazione dei primi tempi. Incontri su incontri, raduni, congressi, esperienze, testimonianze. Il festival della narrazione, peggio: la narrazione della narrazione, perché, siamo onesti, i Focolarini hanno brillato di luce riflessa, hanno rinarrato la narrazione di Chiara.

Verrebbe da chiedersi: perché? Come mai tutta questa necessità di narrazione? Da cosa dipende? È molto semplice: c’entra la dissonanza cognitiva. Quando infatti notiamo un abuso di “narrazione”, là troveremo sicuramente dissonanza cognitiva che corrisponde automaticamente a un eccesso di disagio. Provo a spiegarvelo. Tradotta in parole povere la dissonanza sarebbero tutte quelle scuse che si accampano per non assumersi una responsabilità. Già la parola in sé, dissonanza, ci dice che qualcosa non è all’unisono, qualcuno o qualcosa stona e l’armonia è compromessa. Insomma la paura numero uno nel Movimento dei Focolari che perseguita l’uniformità di pensiero come fosse la sua unica possibilità di salvezza. Poverini.

La “dissonanza cognitiva” descrive l’esperienza di tensione e turbamento che si crea per il conflitto tra le aspettative di un singolo, o di un gruppo, e i fatti che le smentiscono. Nessuno di noi è immune a un certo tasso di dissonanza nella propria vita. Un esempio banale: compro un paio di scarpe ma dopo qualche tempo mi accorgo che in realtà ho sbagliato, sono un po’ strette e avrei fatto meglio a comprarle mezzo numero più grandi. Il disagio che provo per la delusione di aver sbagliato misura provoca subito un bisogno di narrazione che mi faccia stare sereno. Ed ecco che così inizierò a dirmi: “Tanto prima o poi la pelle delle scarpe cede”, ecc. In realtà, una risposta da adulti sarebbe ammettere di aver sbagliato acquisto e provare la prossima volta a stare più attenti.

Ma se proviamo disagio per un paio di scarpe strette possiamo bene immaginare che questa tensione sia tanto più critica laddove le speranze sono generate da credenze religiose o ideali utopici, in particolare in gruppi, come i Focolarini, che si aspettano un cambiamento del mondo e che invece iniziano a rendersi conto che non cambia nulla.

Il primo corollario di questa teoria è che più siamo legati a una scelta, più faremo resistenza alle informazioni che la minacciano e che ci creano uno stato interiore di disagio. La dissonanza cognitiva si basa sull’assunto che tutti noi cerchiamo la coerenza con noi stessi e possiamo tollerare solo un certo numero di discrepanze tra i vari aspetti che formano la nostra identità. La “grandezza” del disagio dipende quindi dall’importanza e dal numero degli elementi che si trovano in contraddizione. Per questo motivo, chi ha messo la sua vita in gioco in una “vocazione” religiosa, come il Focolare per esempio, andrà incontro a un disagio considerevole, proprio perché si è giocato tutta la vita.

Aver infatti creduto ciecamente di essere i primi della classe, di avere la panacea a tutti i mali, di essere la soluzione per la chiesa e l’umanità, di avere un mandato divino, di essere una famiglia, di trovare la pienezza della gioia, ma poi rendersi conto che forse in realtà non è proprio così, perché non ci sono più vocazioni, si chiudono centri e Focolari, si resta in pochi vecchi e rimbambiti, si vive sovente in un ambiente anaffettivo e si sperimenta aridità e depressione... ecco, in questo caso gestire il disagio che provoca una dissonanza di tale portata può essere davvero deleterio, ci si può ammalare seriamente. E non è un caso che tanti Focolarini e Focolarine si ammalino davvero. Sarebbe interessante capire come mai la stragrande maggioranza dei consacrati nel Movimento dei Focolari debba prima o poi ricorrere a cure e sedute dallo psicologo per provare a stare bene.

I Focolarini (ma anche i membri di altri gruppi religiosi o movimenti simili), messi di fronte all’evidenza dei fatti non soltanto non la smettono di credere all’incredibile, ma si irrigidiscono diventando impermeabili a qualsiasi contraddittorio e si schermano di autoreferenzialità senza sospettare che quest’ultima sarà prima o poi la loro nemesi.

Ciò che è in gioco non è semplicemente la coerenza delle idee, ma sopratutto l’autostima che dà senso all’esistenza. Ammettere infatti di sbagliarsi non è facile, ma diventare lo zimbello della società è troppo gravoso: l’ammissione di un fallimento comporta, sia sul piano materiale che su quello psicologico ed emotivo, un’esperienza devastante e non tutti trovano il coraggio e le risorse per compiere questo passo. E non mi sento di condannare nessuno per questo. È davvero difficile raggiungere la libertà di saper ammettere i propri errori, trarne le conseguenze e sapersi assumere le relative responsabilità. Ma non è forse questo che significa “la verità vi renderà liberi”?

Invece nel Movimento dei Focolari per contrastare la dissonanza si cerca in tutti i modi di omettere o eliminare l’informazione che la provoca. In questo modo si vorrebbe impedire che elementi generatori di turbamento mettano in discussione le credenze condivise del gruppo. Quindi censura, narrazioni edulcorate, assenza di contraddittorio, ecc. E in questo nel Movimento dei Focolari sono degli specialisti. Credo che ben pochi non trovino stucchevoli o comunque irreali tutti quegli aggiornamenti, resoconti, relazioni del Movimento in cui “tutti” sono contenti, “tutto” va bene e non vi è ombra o tentennamento alcuno. Un tipo di comunicazione da regime sovietico, ridicola, ma sopratutto incomprensibile appena due centimetri fuori dal Movimento dei Focolari.

Un altro meccanismo per eliminare la dissonanza, molto amato nel Movimento consiste nel provare a convincere gli altri della bontà delle proprie credenze. Insomma puro e semplice proselitismo. “TV, sorrisi e canzoni” era una delle prese in giro che i Focolarini sovente si sentivano ripetere al di fuori del Movimento proprio perché portarono al parossismo questo modo di fare e reclutare adepti. Cercando proseliti si spera infatti che quanto maggiore è il numero di persone che concorda con le opinioni sostenute dal gruppo, tanto minore sarà l’entità delle obiezioni e delle critiche manifestate da soggetti estranei al gruppo. D’altro canto però, più è grande il numero dei membri del gruppo, più aumentano le possibilità che qualcuno inneschi e provochi dissenso; situazione che si combatterà proprio col tentativo maldestro di emarginare questi membri devianti e l’informazione dissonante di cui sono portatori. Ed è esattamente quello che è successo nel Movimento dei Focolari, che crescendo è imploso proprio perché non era maturo e adulto abbastanza per saper gestire il dissenso, il contraddittorio, la molteplicità e la diversità di vedute di alcuni suoi membri, sovente quelli più intelligenti e creativi. Non è frutto della mia fervida fantasia ma è una constatazione che un giornalista focolarino “di alto rango” ha di recente fatto presente a un incontro internazionale dei responsabili del Movimento. Le sue parole che riporto sono una polaroid impietosa:

La fuga dal Movimento dei Focolari delle persone che più presentano caratteristiche di creatività, originalità e pensiero divergente di cui, da troppo tempo siamo testimoni, oltre a essere un problema molto serio dal punto di vista istituzionale perché significa l’incapacità a rendersi conto dei talenti e anche del disegno di Dio su tante persone, si rivela un vero autogol perché poi viene completamente a mancare quella tipologia di persone che probabilmente Dio aveva suscitato proprio per il contributo specifico e insostituibile che potevano apportare all’Opera. Non meraviglia, quindi, una certa mediocrità a troppi livelli, proprio per l’assenza di persone portatrici della novità e del cambiamento.

Ci sono naturalmente anche altre strategie utili a ridurre il disagio provocato dalla dissonanza: tre in particolare.

1) Trovare una risposta sana, matura, da persona adulta. Per esempio, se una persona scopre una dissonanza tra il suo attaccamento alla vita e un uso troppo disinvolto di alcolici o di sostanze potenzialmente cancerogene, smetterà di fumare o di esagerare col bere alcolici.

2) Il secondo modo è un po’ meno efficace e un po’ meno da adulti: trovare scuse! Per esempio, di fronte all’evidenza che l’eccesso di alcool o di fumo danneggia l’organismo, si troverà la scusa che “comunque tanti bevono e fumano, ma hanno anche una vita longeva”. Famoso l’esempio dei Rolling Stones ultra ottantenni, dopo una vita all’insegna di sesso, droga e Rock ’n’ roll.

3) Il terzo modo è invece il comportamento più infantile e quello più frequente, ahimè. Non si affrontano e risolvono i problemi ma li si aggira con una cosmesi narrativa. Per esempio il fumatore incallito dirà: “Meglio una vita breve e piacevole che una vita lunga piena di rinunce”.

Questo tipo di atteggiamento infantile è quello che più di frequente ho trovato nei Focolari. L’errore di Chiara è aver impostato tutto in maniera matriarcale a partire da sé stessa, come “mamma” attorniata dai suoi bambini, i “popi” e le “pope” che in dialetto trentino significa appunto “bambini”. Riconoscere la dissonanza è invece un atto di maturità. Ha a che fare con l’essere adulti e nel sapere assumere le proprie responsabilità.

Ed è in questo che consiste secondo me l’errore di Chiara, di chi l’ha male consigliata e della Chiesa che non ha vigilato a dovere. Nel momento in cui il Movimento è cresciuto e si è ramificato in varie nazioni, sono cominciati a emergere problemi strutturali e alcune crepe tra le fila dei Focolarini e delle Focolarine. Chiara ha risposto con la narrazione dei “primi tempi”: ritornare all’inizio, quando tutto andava bene ed era come lei ingenuamente voleva che fosse.

Ripeto allora quanto ho scritto nei primi paragrafi di questo “trattatello innocuo”. È matematico: dove emerge un eccesso di “narrazione”, là ci sarà il corrispettivo eccesso di dissonanza che corrisponde automaticamente a un eccesso di disagio. Tombola!

Non sarà quindi che forse Chiara soffriva di depressione? Chiara non era in grado di affrontare qualcuno che le stesse di fronte alla pari e avesse un pensiero diverso dal suo. Lei aveva patologicamente bisogno di conferme e tutto quanto non la rassicurava, problemi, differenza di vedute, distinguo, la prostravano fino a lasciarla senza forze: le fantomatiche “prove spirituali” sono così ancora una volta una narrazione necessaria a far fronte al disagio che si prova nello scoprire che Chiara era semplicemente depressa cronica, a mio avviso un “chiaro” disturbo bipolare. Quindi Dio non c’entra nulla. Una adeguata terapia avrebbe risparmiato ore di video, conferenze, temi e quant’altro su queste ipotetiche prove spirituali, che nel caso di Chiara poi erano “eccezionali”, una prima assoluta nella storia della Chiesa, un nuovo record di dolore, San Giovanni della croce levati, e così via. Insomma un delirio.

Chiara non concepiva qualcuno che la contradicesse ma aveva bisogno di essere rinforzata nella sua narrazione. La riprova è proprio il coincidere delle sue fantomatiche “prove” sempre in concomitanza di una mancata approvazione da parte del Vaticano, ultima istanza che poteva avvalorare o meno la sua narrazione. Era il suo tallone d’Achille.4

I più poveri fra i poveri

Tutti conosciamo la favola di Fedro. La volpe, avendo provato invano a raggiungere l’uva, troppo alta per lei, rinunciò esclamando “Tanto l’uva era acerba!” Duemila anni fa, Fedro ben descrisse un processo psicologico molto comune: la dissonanza cognitiva, ossia quel disagio che proviamo nel momento in cui le nostre credenze o le nostre opinioni risultano in conflitto tra loro questo perché noi tentiamo costantemente di raggiungere una nostra coerenza interna e abbiamo bisogno che i nostri pensieri e i nostri comportamenti siano in armonia tra di loro. La disarmonia generata da credenze conflittuali ci procura infatti un disagio, il quale dovrà in qualche modo essere risolto.

È esattamente quello che è successo al Movimento dei Focolari poco dopo il suo scoppiettane inizio: era nato come risposta ai mali del mondo, al grido di Cristo in croce, con la vocazione di abbracciare il lebbroso, come san Giuliano l’ospitaliere, lenire le piaghe dell’umanità confondendosi con essa, ma poi, ahimé, si è insinuato invece l’imborghesimento: soldi, case, agi, viaggi e risorse. E invece che continuare a prendersi cura dei poveri e derelitti l’unica occupazione concreta di Chiara e seguaci è diventata ripetere sino allo sfinimento la storia dei primi tempi del Movimento, naturalmente idealizzata, corretta, edulcorata e priva di qualsiasi spigolo, dubbio, tentennamento o parere discordante. Per questo motivo è stata necessaria una nuova narrazione sui poveri. Bisognava trovare al più presto una buona giustificazione per averli barattati con agi e risorse, senza sentirsi in colpa e provare uno scomodo disagio. E allora il colpo di genio: “I più poveri fra i poveri sono quelli senza dio”.

Tralasciamo la presupponenza di chi millanta di sapere chi abbia o meno un rapporto con dio. Occorre ammettere che questo delirio abbia spalancato le porte del borghesismo nei Focolari ed è la narrazione che forse più di tante altre ne ha segnato l’inizio del declino. Affermare senza vergognarsi che “…i poveri più poveri sono quelli senza dio” è semplicemente una presa in giro: una castroneria del genere si può dirla solo a pancia piena. Mi si obietterà che “non di solo pane vive l’uomo…”, ma purtroppo questa frase l’ha pronunciata uno che i pani li moltiplicava, proprio perché le sue parole fossero autentiche e non slogans a buon mercato. Da tempo quindi non è più credibile l’annuncio focolarino di Dio-amore, da chi mangia tre volte al giorno, ha un tetto sulla testa, può permettersi di andare in vacanza ogni anno (intoccabile) e ha la vecchiaia assicurata. Così è troppo facile e decisamente poco credibile.

Un corollario importante dell’aver rinunciato alla povertà da parte dei focolarini è l’aver perso il contatto con la realtà, con i problemi comuni della gente comune. In cima alla lista Chiara stessa, che viveva come una regina nel suo regno fatato, protetta da un esercito di schiave a sua completa disposizione.

Il fatto di non essere sposati, non avere quindi una moglie o un marito con cui condividere la propria esistenza, nel bene e nel male; il fatto di non avere figli, da crescere, da proteggere e instradare alla vita; il fatto di non possedere “casa e campo”, non avere quindi sputato sangue per poterseli permettere. Tutti questi fattori messi assieme rendono la percezione della realtà da parte dei focolarini quantomeno distorta. E non è cosa da poco.

In queste ultime settimane, ad esempio, con la guerra in corso e il rischio di un conflitto nucleare, ho più volte rimarcato posizioni pacifiste molto infantili da parte dei focolarini. Mi ritengo nel novero di chi vuole, desidera, e lavora per la pace. Invocarla anche in questo frangente storico è necessario e sono in questo d’accordo. Non lo sono invece con chi, in nome della pace, non vorrebbe inviare armi agli ucraini perché si difendano da un’aggressione così assurda e prepotente. Se provo a mettermi nei panni di chi dall’oggi al domani è costretto a dover difendere se stesso, la propria moglie, i propri figli, la terra, la casa in definitiva la sua vita... se io fossi un ucraino oggi, tutto il mio pacifismo e il mio sistema di valori sarebbe sconvolto e ricalibrato a favore della sopravvivenza. Per cui sono d’accordo sul fatto che gli ucraini debbano e possano difendersi. Per proteggere i miei cari credo che sarei disposto pure ad uccidere, io che non riesco a farlo nemmeno con una zanzara. Il pacifismo di alcuni focolarini è la risultante della loro percezione falsata della realtà, in definitiva perché sono troppo ricchi. Ti bombardano la casa? Beh i Focolari te ne troverebbero subito un’altra. Non sei più in grado di vivere in Italia perché perseguitato dal governo? Beh i Focolari ti darebbero la possibilità subito di cambiare nazione. E così via. Veramente pochi possono giovarsi di tale flessibilità e accesso a tali risorse. Questo rende i focolarini alieni rispetto alla gente comune.

Il problema inoltre con questa narrazione sui poveri è che, come ho già fatto notare, l’unica occupazione concreta dei Focolari è diventata raccontare la storia del Movimento, di Chiara e le sue prime compagne. Per cui invece che calarsi nelle piaghe dell’umanità sofferente, ci si è dovuti dedicare ad organizzare incontri su incontri, raduni, congressi e manifestazioni di ogni ordine e grado. In definitiva tante chiacchiere. Nella mia città ad esempio, c’è un problema endemico di drogati di crack. Il Movimento dei Focolari è presente in questa regione, ma dove sono? Cosa fanno? Perché non sono i primi ad abbracciare questa piaga che funesta così tante giovani vite? Eppure standoli a sentire dovrebbero essere nati proprio per questo e la loro vocazione dovrebbe essere espressione di queste parole della Lubich:

Occorrono cuori toccati da Lui [Cristo abbandonato in croce] che non lo sfuggono, lo amano, lo scelgono e trovano in lui la luce e la forza per non fermarsi nel trauma, nello spacco della divisione, ma per andare sempre al di là e trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile.

Io mi spiego anche così il repentino calo di vocazioni. Essersi allontanati dall’ispirazione genuina iniziale che aveva affascinato tanti, e invece ritrovarsi in una dinamica autoreferenziale che produce tante chiacchiere e pochissimi fatti concreti, ha tolto il terreno sotto i piedi proprio a chi invece aveva deciso di investire la propria vita per mettere alla prova le parole del vangelo.

Per provare a riguadagnare un minimo sindacale di credibilità occorrerebbe ricominciare dalla povertà, senza cosmesi narrative e senza scuse. Di dovrebbe ad esempio chiudere tutti i Focolari situati in quartieri residenziali o in centro città. Venderli e aprirne di nuovi, con quei pochissimi che forse ancora ci credono, nei punti dove l’umanità soffre. Non vedo alternative valide.

Non guasterebbe poi, a questo proposito, visto che immagino non ci sia nulla da nascondere e voglio credere che si sia sempre fatto tutto nella massima trasparenza davanti a Dio e alla chiesa, mettere a disposizione di chi lo desiderasse i bilanci del Movimento. Quanti soldi ci sono, da dove arrivano e come vengono spesi? È molto semplice: se non c’è nulla da temere allora trasparenza assoluta. Non ci sono scuse che reggano.5

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