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La crisi come opportunità. A patto di tenere gli occhi ben aperti

News pubblicata il 18 febbraio 2024 • Testo di Oref

Abbiamo seguito con interesse la video intervista a Jésus Morán proposta sul canale ufficiale della casa editrice Città Nuova lo scorso 6 febbraio 2024. Il co-presidente del Movimento dei Focolari attualmente in carica risponde ad alcune domande sul suo libro La fedeltà dinamica. La crisi come opportunità (2023). Ci hanno colpito l’apertura, l’onestà e il coraggio che ha avuto nel riconoscere e chiamare per nome tanti problemi, storture e derive che hanno afflitto e affliggono il Movimento di cui abbiamo fatto parte.

Quando afferma che

le dita mozzate non ricrescono, così come non ricrescono i raccolti quando gli diamo fuoco e li seminiamo con il sale

sceglie un’immagine che rende benissimo la tragedia che ha caratterizzato, con intensità diverse, l’esperienza di consacrazione nel Movimento (per una parte di noi) e la partecipazione attiva nelle fila delle varie branche.

Davanti a tanta franchezza, che apprezziamo davvero, sentiamo il bisogno di chiarire alcuni aspetti relativi alla sua terza risposta: quella sulla “purificazione della memoria” — il tema che ci sta più a cuore e ci tocca da vicino, visto che riguarda la sistematicità degli abusi in seno al Movimento dei Focolari. Esprimiamo i nostri interrogativi qui di seguito, in modo che il dialogo a distanza possa gettare sempre più luce su angoli rimasti troppo a lungo nell’oscurità.

Morán: Questa è l’esperienza che stiamo facendo nel Movimento oggi, proprio dopo la fondazione, e ci siamo trovati un po’ orfani non solo perché Chiara Lubich è partita per il cielo ma anche perché sono partiti tutti i suoi primi compagni che noi abbiamo conosciuti in tutti i continenti: io ero in America Latina e per ventisette anni e sono stato vicino a due dei primi compagni di Chiara che ti portavano questo sapore della fondazione, sapore di qualcosa di nuovo, di qualcosa di forte, di attraente. Ecco, a un certo punto siamo entrati in una fase di orfanezza.

Morán non nasconde la sofferenza per la condizione di orfanezza e l’assenza di luce che ne deriva. A noi pare che questo dolore nasca in gran parte dallo sbilanciamento (a volte sfociato nell’appiattimento) sulla figura e sul peso carismatico di Chiara, da parte del Movimento dei Focolari: riconoscerlo potrebbe aprire un percorso critico prezioso.

Morán: È venuta a mancare la luce con cui vivevamo tutto quello che vivevamo — e non che certi problemi che adesso constatiamo non c’erano prima: c’erano, però la luce della fondazione, la luce dei fondatori, non ci faceva vedere le nostre meschinità, le nostre inadeguatezze.

Scegliendo di usare la metafora della luce, Morán adotta un’immagine ambivalente; perché c’è luce che illumina e luce che abbaglia, impedendo di vedere. Se certi problemi ci sono da sempre, quella luce ha avuto la funzione (ahinoi! diabolica) di occultarli, rendendo miopi al dolore di chi subiva abusi di ogni tipo.

Morán: Quando passa la fondazione, il periodo fondativo carismatico, inizia un altro periodo che io chiamo di “fondazione storica”. Non è che è un periodo solo: si potrebbe parlare di “periodo post-fondazionale”. Però, secondo me, è più esatto parlare di periodo di “fondazione storica”, non più “carismatica”. Cioè manca la luce carismatica; abbiamo altre grazie, invece, che devono incarnarsi.

Restando nell’infelice metafora, il presidente lamenta l’assenza di “luce carismatica” — un elemento che è sempre stato l’architrave della proposta spirituale di Chiara: quell’avventura sempre nuova e affascinante di una vita con “Gesù in mezzo”. Quale nostalgia si può avere di una luce che abbagliava e impediva di vedere i problemi? E cosa impedisce (oggi come ieri) di vivere appieno l’esperienza di “Gesù in mezzo”? Forse tale esperienza è incompatibile con uno sguardo diretto e senza sconti alle numerose storture della storia del Movimento?

Morán: Allora lì appunto bisogna attraversare la prova della conoscenza di sé, che vuol dire rendersi conto che non siamo all’altezza del Carisma, che non siamo capaci di realizzare le grandi profezie dei fondatori, della fondatrice.

In questa riflessione cogliamo tracce di depressione. Morán parla di meschinità e inadeguatezze (personali e collettive) rispetto al carisma di fondazione, lamentando l’incapacità di “esserne all’altezza” e lasciando trapelare quella stessa pressione alla competizione che noi ricordiamo ancora bene e che ha condotto diverse persone sull’orlo del suicidio: l’ossessione al superamento continuo di sé e dei propri limiti, alla ricerca di una perfezione sempre irraggiungibile e all’autocolpevolizzazione per il continuo ritrovarsi schiavi dell’“uomo vecchio”. Riconoscere quel principio di depressione è cruciale e prezioso, perché è il primo passo per un percorso di liberazione da ciò che ci fa sentire inadeguati e intimamente sbagliati.

Morán: Quindi riconoscere che non siamo capaci di vivere il Carisma dell’Unità, che che non siamo capaci di risolvere i nostri conflitti, nonostante parliamo sempre di unità e siamo nati per l’unità e abbiamo la vocazione dell’unità.

La sensazione di lacerazione qui descritta ci colpisce perché la conosciamo bene, avendo investito anche noi. È ciò che ci ha spinto — giorno dopo giorno — a lasciare il Movimento: la consapevolezza di una profonda scollatura tra le parole d’ordine, le cosiddette “narrazioni”, e l’effettiva capacità di mettere in pratica e testimoniare quanto si annuncia. Una scissione che continua a interrogarci.

Morán: Allora, questo passaggio è fondamentale, ma dopo — in questo periodo di “fondazione storica” — c’è un aspetto importante: la purificazione della memoria. Cioè, adesso sì; prima non era il momento. Ma adesso sì. Dobbiamo tornare indietro e dire: «Però aspetta: ci sono state delle cose che abbiamo fatto male, ci sono state delle infedeltà gravi. Ci sono state delle derive che ci hanno portati lontani dal Carisma.» Questo è fondamentale, perché senza questa purificazione della memoria non non si riparte con energie nuove, soprattutto anche perché tante persone hanno sofferto.

Il riconoscimento delle cose fatte male, delle infedeltà gravi, delle derive che hanno fatto soffrire tante persone è lodevole e importantissimo, ma espone il Movimento a un rischio: quello di innescare un frettoloso processo lava-coscienza che resta in superficie, limitato a un’ammissione di responsabilità generiche che non si prende concretamente cura di alcuna delle ferite provocate. C’è un solo modo per evitare questo esito: fare nomi e cognomi, lavare i panni sporchi in pubblico, aprendo un confronto franco su cosa è andato storto e sul tipo di derive che hanno afflitto l’esperienza di molte persone aderenti al Movimento. Noi di Oref abbiamo qualche opinione in merito e prenderemmo parte al dibattito con atteggiamento proattivo.

Morán: Allora, io direi che questo è un processo tremendamente benefico di purificazione della memoria. Vedete che la chiesa lo lo sta facendo, però soprattutto da Giovanni Paolo II in qua si è accentuato. Giovanni Paolo II ha chiesto perdono alla fine del 2000 per tutte le cose commesse non evangeliche che la chiesa ha fatto. Allora i passaggi già effettuati, che io vedo che abbiamo compiuto in questa linea, sono quelli che riguardano gli abusi sessuali. Nessuno di noi poteva pensare che il Movimento dei Focolari — che parla tanto di unità, di reciprocità, della presenza di Gesù in mezzo a noi... che il Movimento dei Focolari potesse diventare un luogo insicuro per i minori. È stato doloroso accettarlo. E allora questo passaggio lo abbiamo effettuato, lo abbiamo assunto pienamente, abbiamo chiesto perdono pubblicamente e abbiamo creato le strutture di prevenzione e formazione perché non si ripetano.

Così formulato, il processo di “purificazione della memoria” rispetto agli abusi sessuali sui minori pare piuttosto semplicistico: sembra una spunta su un elenco di cose da fare. Davanti a tragedie come quelle citate, il concetto di “mettere un punto” per chiudere la questione suona del tutto improprio: se di processo si tratta, la “purificazione della memoria” deve essere un percorso che si mantiene aperto e che deve accompagnare la vita del Movimento in ogni sua fase futura. La fretta di dichiarare che “questo passaggio lo abbiamo effettuato” è in contrasto con il silenzio che ancora copre i nomi delle persone abusatrici: quale tutela hanno le persone che frequentano il Movimento, se chi ha commesso questi crimini gode dell’anonimato?

Morán: Da effettuare ancora c’è tutto quello che riguarda invece gli abusi spirituali e gli abusi di coscienza, cioè il fatto che ci sono state delle derive a causa di cattive comprensioni o comprensioni deformate del Carisma dell’Unità o della dinamica dell’Unità che hanno portato a veri abusi spirituali.

In questo passaggio, l’ammissione da parte di Morán degli abusi prosegue e ci colpisce positivamente. Le nostre opinioni divergono sulle origini di quei mali: il presidente pone l’accento su comprensioni cattive o deformate del Carisma di Chiara Lubich. Noi riteniamo che abbiano radice in alcune storture e vizi di forma insiti nel carisma stesso. Per noi che abbiamo lasciato il Movimento, la distanza su questo punto è particolarmente drammatica, perché sospettiamo che l’adesione acritica alle parole di Chiara renda impossibile riconoscerne gli elementi tossici. In altre parole, riteniamo che chi infligge abusi spirituali e di coscienza strumentalizzando l’Ideale è un figlio sano (o una figlia sana) del pensiero di Chiara.

Morán: Allora su questo ancora ci stiamo lavorando, anche perché la Chiesa stessa ci dice che non basta che voi avete le strutture adeguate per prevenire gli abusi, dovete capire perché si sono verificati. Allora questa ermeneutica causale di ciò che è successo, e che ha portato anche ad abusi spirituali e di coscienza, è un lavoro da fare. E siamo impegnati in questo addirittura con persone dedicate a questo. Speriamo che in un anno, forse due, non lo so, possiamo arrivare a una comprensione nuova.

Non essendo mai stati contattati da alcuna di queste “persone dedicate”, ci chiediamo sgomenti come si possa pensare di ricomporre una ferita assumendo una postura unilaterale, che esclude chi questi abusi li ha subiti in prima persona.

Morán: Poi ci sarebbero altre cose, ma per me queste sono fondamentali per quanto riguarda la purificazione della memoria. Perché ancora nel Movimento ci sono tante persone che hanno conosciuto Chiara Lubich. Però noi dobbiamo trasmettere alle generazioni successive il suo Carisma. Certamente attualizzato e da attualizzare, però trasmettere genuinamente il Carisma. E questa trasmissione è fondamentale. Quindi dobbiamo capirlo bene, dobbiamo capirlo bene a partire dalla vita ma anche con studi adeguati, e capire bene — quando noi parliamo di unità — di che cosa stiamo parlando. Quando parliamo di rapporti trinitari, addirittura come rapporti che riflettono in qualche modo la vita della della Trinità come modello di unità, bisogna capire di che cosa stiamo parlando. E questo è tutto da fare.

Ci colpisce l’onestà con cui Morán confessa l’incomprensione dell’unità e della natura profonda dei rapporti trinitari: si tratta, in effetti, di concetti scivolosi e pieni di ambivalenza, strumentalizzando i quali sono stati commessi soprusi lontanissimi da ciò che quelle idee evocavano (e continuano a evocare) in noi. Il presidente ammette la necessità di compiere un lungo percorso per chiarire il cuore del Carisma — e la nostra certezza è che tale processo sarà inconcludente se non terrà conto di ciò che ci ha portato ad abbandonare le fila del Movimento, trovandovi più ostacoli che trampolini verso valori che intendevamo (e intendiamo ancora, con pervicacia) coltivare.

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