Testimonianze

Affinità-divergenze tra la presidentessa eterna e noi

ANDREJ SACHAROV TARKOVSKIJ (PSEUDONIMO)

Affinità

Voglio iniziare parlando degli aspetti positivi della mia esperienza con il Movimento dei Focolari. La parte sicuramente più memorabile, sta nelle qualità umane della gran parte dei membri con cui ho potuto interagire. Erano per lo più persone che genuinamente avevano sposato la visione del mondo proposta dal movimento dei Focolari; erano veramente convinti che essa stessa sia la chiave per il raggiungimento del bene comune. Si trattava anche di persone complessivamente istruite e che avevano il coraggio di perseguire la propria ideologia anche a costo di andare controcorrente (senza però mettere in discussione l’ideologia). Lo “scisma sommerso” delle persone che a parole condividono tutti i dettami della chiesa cattolica ma poi ne praticano solo una parte, sembrava cosa lontana. Erano la mia famiglia elettiva e mi è costato molto abbandonarla.

Erano persone con le quali ho avuto modo di aprire il mio cuore e la mia mente in maniera pressoché totale, come la nostra ideologia ci insegnava. Certo, tale apertura ha una marea di lati negativi e di problematiche associate, però ritrovarsi con cadenza regolare con persone con cui dovere, e dunque anche potere, esprimere le proprie riflessioni sulla propria vita e condotta è stata una esperienza molto arricchente e cementificante per il nostro legame; è stata anche una palestra preziosa per lo sviluppo della mia intelligenza emotiva. Per certi versi, il rafforzamento di questi legami è stato il maggiore effetto positivo della “unità di pensiero” che avevano i membri del movimento e che oggi giudico una pratica intellettualmente criminale.

Mi rendo infatti conto che le mie affermazioni sui rapporti umani possano sembrare in contraddizione con i passaggi successivi sulla trasformazione umana (a mio parere deleteria per i singoli individui) che il movimento opera nei suoi membri; la questione è in effetti articolata. Come avrò a ripetere molte volte, il movimento dei Focolari ha un rapporto con la sua ideologia simile al rapporto che la Chiesa Cattolica sotto l’ultimo Patriarca d’Occidente (Giovanni Paolo II) aveva con la dottrina cattolica stessa. Un rapporto che sintetizzo con la frase “massimo dialogo esterno, minimo dialogo interno”. Più è esterno il nostro interlocutore, più si è disponibili ad un dialogo inclusivo che permetta ad esso di far in qualche modo parte della nostra realtà senza richiedere ad egli (almeno all’inizio) grossi cambiamenti. Al contempo, però, più il nostro interlocutore si addentra nella nostra realtà, più verrà a lui chiesto di accettare l’ideologia della organizzazione, con sempre minori margini per la sua messa in discussione. Ne segue che nel mio percorso ho incontrato membri del movimento a vari stadi di assimilazione e con una certa variabilità negli aspetti umani meno rilevanti per l’ideologia del movimento; una variabilità anzi funzionale proprio al proselitismo che nasce dal dialogo. Sono anche entrato in contatto con persone che riuscivano ad avere anche un punto di vista almeno parzialmente critico verso il movimento (come del resto anche io avevo) anche se a mia memoria loro stessi ad un certo punto sono usciti dal movimento.

In linea con questa dinamica, debbo dire che la mia assimilazione focolarina mi ha permesso di acquisire abilità interpersonali che altrimenti difficilmente avrei sviluppato, vista la mia personalità introversa. L’ideologia di “amare tutti” e del “farsi uno” mi ha forzato ad uscire dal mio guscio, imparando a sviluppare una forma di rapporto positivo anche con persone completamente diverse da me, approcciandomi all’altro con l’umiltà di chi in primo luogo vuole capire cosa l’altro ha da dire. Sono capacità che si sono rivelate molto utili nelle mie attività di ricercatore interdisciplinare e di consulente.

Sono anche riuscito a reimpiegare in maniera fruttuosa delle pratiche mentali dai fini deleteri che attuavo su di me per crescere nella spiritualità focolarina. In certi frangenti in cui dovevamo “vivere l’attimo presente”, “fare unità” ed assorbire a pieno i vari indottrinamenti, abbassavo totalmente le mie difese mentali, lasciando che ciò che vedeo ed ascoltavo penetrasse dentro di me senza alcuna forma di filtro, di vaglio, o di approccio cognitivo critico. Oggi lo ritengo aberrante, però ho riadattato questa tecnica per raggiungere un ascolto profondo delle persone e per una immersione olistica nella bellezza della natura e dell’arte.

Constatazioni

Grazie alla varietà delle mie letture passate, alla frequentazione di altri ambienti ed alla mia insaziabile curiosità, durante la mia esperienza folcolarina mi sono progressivamente convinto che, come in fondo tutte le comunità, il movimento avesse una percezione distorta di sé stesso.

Pensandosi come movimento cattolico/ecumenico (Chiara Lubich diceva che i focolarini erano “un altro tipo di cristiani”) il movimento non si rendeva conto (o voleva nascondere ai suoi membri) la sua riconducibilità al protestantesimo. Non sto dicendo che sia un movimento protestante (che per me sarebbe quasi un pregio) anzi, dal mio punto di vista l’essere focolarino era una meta-identità potenzialmente compatibile con molti percorsi di fede. Credo semplicemente che analizzando il movimento da una ottica protestante si possa comprendere meglio certe sue dinamiche e la sua evoluzione nel tempo.

Fortemente protestante è stato il rapporto diretto con la lettura delle sacre scritture praticato da Chiara Lubich (CL) e dalle sue compagne in un tempo in cui tale letture erano proibite dalla Chiesa Cattolica; ricordo a tal riguardo di una donna che decise di donare i suoi averi al movimento in base ad una frase che aveva letto aprendo a caso la Bibbia. È protestante il porsi da laici, da persone che stanno nel mondo (si pensi al valore sacrale dato al lavoro da certi protestantesimi), senza divise (che infatti non sono indossati da molti religiosi protestanti) e coinvolgere le persone grazie ad una narrazione retorico-emotiva. È protestante l’idea di creare una comunità nuova per vivere il vangelo, non in separazione ma comunque in divergenza con la “divina commedia” dei cattolici tradizionali, per i quali la religione è una mitologia a cui si deve credere e praticare di facciata ma che alla fine ha scarso impatto sulla propria morale. È anche tipica dei movimenti protestanti la “deriva centrista” che ha sperimentato il movimento dei focolari nei suoi decenni di vita. Diranno i focolarini che non sono loro ad essere divenuti più ortodossi ma che è la chiesa cattolica ad essere cambiata dopo il Concilio Vaticano II e diranno pure che è merito loro. Io vedo invece una comunità che voleva vivere il vangelo in maniera radicale e pratica, dedicandosi alla distribuzione degli aiuti durante la seconda guerra mondiale, che progressivamente si è trasformata un una organizzazione il cui “core business” è fare “incontri spirituali”. Questo contrasto tra gli afflati rivoluzionari e la loro attuazione accomuna il movimento anche con realtà apparentemente distanti: il Partito Comunista Italiano.

È notevole infatti la somiglianza tra i riti e le strutture del movimento focolari con le repubbliche democratiche e le varie organizzazioni socialiste. Si sa che il movimento giovanile nacque durante gli anni della contestazione e dunque copiò vari aspetti della sinistra giovanile “extraparlamentare” di allora. Facendo così, però, ha copiato anche delle caratteristiche che oggi ne evidenziano la totalitarietà depensante della sua ideologia. Una per tutte, il “libretto giallo”: creato in contrapposizione al “libretto rosso” di Mao Tse-Tung, è esso stesso una collezione di slogan ideologici che per struttura sembrano ricalcare le frasi di Aleksandr Nevskij nell’omonimo film del regista sovietico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn.

Così come per i paesi socialisti, la seconda guerra mondiale diventa il mito fondativo, che spinge ad una trasformazione dei membri della organizzazione ed apre alla creazione de “L’uomo nuovo”. Il movimento chiede ai loro primi membri forti sacrifici per la causa superiore, decidendo il loro percorso formativo e spedendoli in varie parti del mondo per diffondere l’ideale: praticamente dei Trotskisti dell’amore evangelico.

Il movimento dei focolari ricalca anche certe vacue ritualità delle repubbliche popolari. All’interno della sua “Sala del Popolo” a Castel Gandolfo, tiene dei congressi dove le agende sono dettate dal comitato centrale e l’attività principale dei delegati presenti è applaudire; si applaude così tanto che a fine giornata fanno male le mani. Certo, ogni tanto ci sono spazi per interventi e per domande, però sono sempre interventi a supporto della visione proposta e di esaltazione della Cara Leader (CL).

Voi vi chiederete come sia possibile che non ci fossero veri e propri dibattiti. Il motivo è semplice: non c’è spazio, soprattutto temporale, per maturare una revisione critica della ideologia focolarina da parte dei suoi membri, una ideologia che peraltro si assorbiva senza pensare neppure lontanamente che potesse essere fallace. Nessuno ha mai detto che la Cara Leader era in errore, cosa inevitabile vista la sua umanità, anche quando aveva preso dei chiari abbagli: nei primi anni Settanta, ad esempio, si definì parte dell’onda collettivista mondiale (kibbutz, ecc.) e credeva che sarebbe stata un cambio di paradigma definitivo. Nessuno ha mai deciso di non seguire una indicazione di CL: essa chiese di andare ai funerali di Giovanni Paolo II a gridare “Santo Subito” e nessuno ebbe niente da obiettare, anche se tale azione era decisamente in contrasto con le pratiche vaticane per la canonizzazione. Tutte le notizie che ricevavamo su CL erano celebrative: mai una autocritica, mai una contestazione. Noi giovani eravamo oberati dagli impegni del movimento, e quando si trattava di organizzare qualcosa, come la gioventù di certe repubbliche socialiste, si trattava di eventi ludico-artistici.

CL disse che il movimento doveva essere “un treno fatto solo di locomotive”, una illusione comune a tutti i capi totalitari: è un fenomeno impossibile, se non altro perché ogni organizzazione umana è fatta di persone che ne fanno parte con livelli di impegno diversi; e chi è più impegnato è anche colui che decide. Interessante che non si rendesse conto che le locomotive non solo trascinano i vagoni, ma sono anche coloro che determinano la direzione percorsa da tutti gli altri vagoni; forse, però, voleva essere lei l’unica macchinista. Più che locomotive, voleva vagoni motorizzati teleguidati.

In realtà CL aveva sviluppato la pratica di identificazione nel leader tipica dei regimi totalitari (si pensi alla frase “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”) trasformandola in un meccanismo bidirezionale: non solo le azioni di CL sono anche azioni dei membri del movimento, ma anche le azioni dei focolarini sono come fatte da CL. Certo, c’erano focolarine brasiliane che raccontavano alle persone che supportavano che gli aiuti che davano era CL a darli, però CL stessa disse che “se io sposto questo bicchiere, tutti noi spostiamo questo bicchiere”. C’erano anche degli strani personalismi concessi a CL, certamente inusuali per una presidentessa, a meno che non si tratti di una iniziatrice di una grande pagina della umanità, come l’adesso “Presidente Eterno” Kim Il-Sung. Ad esempio, nell’elenco dei defunti per cui pregare, c’era anche la madre di CL; come poteva avere uno status speciale?

Divergenze

Credo che molti aspetti del MF che ritengo problematici dipendano dal contesto storico in cui si è sviluppato e specificatamente dai suoi aspetti politico-religiosi.

Tra questi, conta fortemente il contesto politico di formazione dei primi membri del movimento dei focolari. Per motivi anagrafici, le primi membri del movimento era persone cresciute durante il fascismo. Anche se il messaggio di fratellanza universale che cercano di incarnare è diametralmente opposto alla legge del più forte, cuore del fascismo, ciò non di meno, aver passato i loro anni più formativi nel ventennio ha sicuramente avuto una influenza sul loro modus operandi. Questo, in fondo, vale per la gran parte degli italiani del tempo ed è un fenomeno ancora presente: la visione del risorgimento che tuttora domina in Italia deriva da una lettura proposta dal fascismo; avendo vissuto esperienze didattiche all’estero, mi sento di dire che lo stesso sistema educativo italiano ha ancora dei riflessi della impostazione fascista… ma non voglio divagare. Nella prefazione del suo libro Il Fascismo Eterno, Umberto Eco elenca le caratteristiche tipiche dell’Ur-Fascismo. Eco premette che

Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.

Credo che nel movimento dei focolari se ne possano riconoscere almeno 6 su 14: il disaccordo come tradimento, l’elitismo, l’educare ciascuno ad essere “eroe”, il controllo della sessualità, il leader come interprete del suo popolo, l’uso di una “neolingua”. Servirebbe un libro intero per parlarne. Vi è una impronta strutturale, nascosta agli occhi esterni, che porta a dinamiche psicologicamente autoritarie. Mi si obietterà che CL aveva il padre socialista; le due cose sono totalmente compatibili, visto che tali caratteristiche sono stati adottate anche da regimi di socialismo reale (vedi sopra). Da ex membro, credo che il motto “Credere, obbedire, combattere” calzi a pennello al movimento dei focolari. Il “credere” si riferisce all’assenza di un vero approccio critico al pensiero di Chiara Lubich: si vedevano i video in cui la presidentessa eterna parlava e poi esprimavamo le nostre riflessioni, partendo sempre dall’assunto che ciò che avevamo sentito fosse vero. Altri in questo libro parlano dell’obbedienza focolarina. Una volta che si interpreta quel “combattere” nel senso dell’“andare contro corrente” focolarino.

Oltre al contesto politico, conta anche quello religioso. Il movimento dei focolari nasce durante la seconda guerra mondiale, il che significa che è stato sviluppato per circa 20 anni in un contesto spiritualmente pre-conciliare e post repressione anti-modernista. La chiesa cattolica, come la società nel suo complesso (si pensi alle censure RAI), era molto più reazionaria di quanto non lo sia adesso, soprattutto nei suoi aspetti sessuofobici; la separazione dei sessi ne è un chiaro esempio. Sul tema CL è stata ambigua: in una risposta ad una giovane disse che fu una scelta per semplificare il funzionamento del movimento; nel libro Il Grido, invece, la separazione viene descritta come una imposizione della chiesa cattolica.

Non so se dipenda ancora da questo anacronismo, ma personalmente noto altre degenerazioni religiose che temo non siano una esclusività focolarina. Trionfa su queste il “dolorismo”. Giusto imparare ad accettare i problemi della vita che non si possono risolvere, e vedere nelle difficoltà delle occasioni di crescita; però l’interpretazione del dolore come segno di amore divino mi sembra molto discutibile. Dal punto di vista biologico, il dolore è semplicemente il segnale di un problema. Come umanità, siamo progrediti perché abbiamo cercato di ridurre il dolore, e dunque i nostri problemi, non certo di viverlo pienamente. L’idea stessa che per aiutare l’altro sia meglio immedesimarsi nella vittima fino a provare il suo stesso dolore mi pare molto dannosa, perché non vedo come il dolore possa dare benefici cognitivi; immaginatevi se ogni dottore si immedesimasse a tal punto in ciascuno dei suoi pazienti. Certo, è giusto e positivo comprendere la situazione altrui ma è proprio l’alterità distaccata del nostro punto di vista a portare un beneficio all’altro. La sofferenza può accecare.

Però, contemporaneamente a questo “farsi uno” con il dolore altrui, si insegna a vivere il proprio dolore non solo con accettazione ma direi quasi con distacco. Un comportamento necessario per essere pronti ad amare l’altro “sempre, subito e con gioia”, anche in un momento per noi difficile. Questo del distacco può sembrare un insegnamento molto utile, e devo ammettere che mi è stato d’aiuto per stringere i denti ed andare avanti in certi momenti difficili della mia vita. Ma è stato al contempo molto dannoso. Come detto prima, il dolore è un segnale di un problema; quando si tratta di un dolore non fisico, silenziare un segnale ha senso nella misura in cui il segnale è stato recepito e ci troviamo in situazioni in cui è impossibile processare il segnale mentalmente. Ma cosa ci succederebbe se ci distaccassimo a lungo, ad esempio, dal dolore della perdita di una persona cara? In questi casi avremmo il sostegno del nostro gruppo con cui viviamo la nostra spiritualità, però dovremmo comunque fare il possibile per amare l’altro “sempre, subito, con gioia” anche quando invece saremmo noi a dover in primo luogo amare noi stessi e vivere liberamente il nostro dolore. Che cosa ci succederebbe, se ci dissociassimo da un malessere interiore talmente forte che normalmente ci farebbe piangere fino allo sfinimento? E cosa ci succederebbe, se tali meccanismi di distacco dal dolore fossero talmente potenti da impedirci di esprimere liberamente emozioni tanto naturali da necessitare di essere espresse, o addirittura di farci discernere la nostra condizione di malessere? E se tali sofferenze interiori sono dovute da caratteristiche intrinseche dell’ambiente focolarino stesso, come possono diventare gestibili in un contesto di vita spirituale comunitaria in cui si deve condividere tutto ed in cui i capi in realtà sono privi di un’adeguata formazione psicologica per gestire tale livello di condivisione umana?

Più in generale, viene insegnato che per seguire Gesù bisogna “rinnegare sé stessi”, come citato in da vari vangeli (ad esempio, Mt 16,24) e questo viene interpretato come rinunciare, specie se tale azione comporta dolore, a certi nostri modi fare, alle cose a noi care, alle nostre passioni, alle nostre emozioni, ai nostri desideri, alle nostre aspirazioni, alle nostre idee, a ciò che abbiamo di caro. Ignoro quale sia l’esegesi di questi versi più condivisa dagli studiosi contemporanei, dunque non posso escludere che quella adottata dal movimento sia con essa compatibile.

Ritengo tuttavia che questa sia utilizzata dal movimento dei focolari per indurre i suoi membri a fare un percorso psicologicamente dannoso: il singolo è incoraggiato alla auto-repressione ed alla auto-distruzione della propria identità. Perché senza le proprie passioni, i propri sogni, i propri desideri, le proprie idee, a mio modesto parere, non siamo più noi stessi; siamo diventati un’altra persona, totalmente assimilata dall’organizzazione che ha dato vita al processo di trasformazione. Confesso che per molto tempo sono stato attratto da questo auto-rinnegamento, perché credevo si trattasse di un percorso mistico; pensavo che si trattasse di un processo di purificazione della mia anima che mi avrebbe permesso di “indiarmi”, di avvicinarmi ad una comunione con il divino così forte da “perdermi” dentro la divinità stessa, diventando una cosa sola con il divino.

Con l’avanzare del mio percorso focolarino, però, ho percepito un sempre più forte contrasto tra il mio modo di vedere la realtà e la visione focolarina del mondo. Ho capito che per continuare ad esistere come focolarino (in verità anche come cattolico dei tempi pre Bergoglio) dovevo cambiare le mie visioni del mondo che non erano compatibili con la visione del mondo focolarina. Ma io sono quello che penso; rinunciare alle mie idee, significherebbe non essere più me stesso. Ho dovuto scegliere tra la mia mente e la mia vita spirituale. È stato doloroso ma inevitabile.

Il fatto che la mia abiura del cattolicesimo sia seguita alla conclusione della mia esperienza focolarina, è spiegabile anche per le fortissime analogie tra il movimento dei focolari e la chiesa di GP2. Questi due personaggi erano accomunati da molti aspetti: in primo luogo, da un rapporto con la diversità estremamente simile. Tale rapporto è sintetizzabile nell’espressione “massimo dialogo esterno, minimo dialogo interno” descritto precedentemente: si cerca il più possibile di intrecciare rapporti positivi con chi fa parte di organizzazioni diverse dalla nostra, però, più una persona è dentro la nostra organizzazione, più limitata sarà la sua libertà di pensiero e di espressione. Chi dice di essere con noi ma non la pensa come noi, è in errore: pensare con la propria testa è un peccato. È anche per questo che ambedue davano una forte importanza attribuita agli eventi di massa trasmessi in televisione, dove migliaia di persone si riunivano ad ascoltare passivamente i loro messaggi/show, senza possibilità di replica o di porre domande potenzialmente scomode.

Tornando al movimento dei focolari, ritengo che la sua spiritualità abbia molte altre falle, che richiederebbero un trattato intero scritto da persone più competenti di me in materia. Mi preme però di indicare il limite principale del concetto di unità proposto. Ogni entità comunitaria libera ha al suo interno sia dinamiche di cooperazione che di competizione. È necessario che le prime siano maggioritarie affinché la comunità continui ad esistere; tuttavia le seconde non sono solo inevitabili ma direi anche auspicabili per il benessere della comunità stessa. Inevitabili perché, vista la alta variabilità individuale degli esseri umani, è impossibile che si formi un gruppo di migliaia persone libere che la pensino allo stesso modo su tutto e che abbiano esattamente li stessi fini. Senza diversità di pensiero e di intenti, si è sì una comunità, però non libera: è una comunità sottomessa direttamente ad un capo, oppure sottomessa ad un capo che si erge a portavoce di un ideale comune che la comunità vuole perseguire. La variabilità individuale porta dunque ad una diversità nella comunità; questa, inevitabilmente, porta anche ad una forma di competizione. Il che non vuol dire necessariamente una competizione per sopraffare gli altri. Possono anche essere semplicemente due diverse visioni su quali siano le scelte più benefiche per la collettività: è questa la politica dell’alternanza nella sua forma più sana. Un’organizzazione priva di competizione interna è incapace di migliorarsi. È destinata ad estinguersi o comunque a diventare l’ombra di sé stessa, a meno che nel frattempo non abbia trovato un modo di generare abbastanza denaro per mantenersi. Il concetto di unità proposto vanta anche il primato della spiritualità collettiva; col senno di poi, mi pare poco convincente. È altamente probabile che ci siano state in altri luoghi, in altri tempi, in altre fedi, comunità unite da un comune sentire, fatte da persone che condividevano tutto e prive di spazi individuali.

Vi chiederete come sia possibile che una tale spiritualità così fallace possa essere allettante per molte persone. Vari aspetti apparentemente positivi che ho vissuto nel movimento dei focolari sono descritte nel libro Combatting Cult Mind Control di Steven Hassan. L’ho letto molti anni fa, prestatomi da una vittima di una setta che era rimasta molto colpita da varie somiglianze tra la mia e la sua esperienza. Me ne ricordo benissimo due: il “love bombing”, cioè la pratica di inondare di amore i nuovi arrivati e l’instillare dei membri che erano degli “eletti”. Rimasi molto colpito quando, a cavallo tra i due millenni, un convegno di vescovi sui movimenti (a cui partecipò CL) sottolineò a più riprese che questi svolgevano anche una funzione di contrasto alle sette; qualcuno direbbe che “chiodo scaccia chiodo”. Agli elementi di fascino aggiungerei però un certo approccio poetico spacciato per mistico, che secondo me ha una certa popolarità in Italia. La forza e popolarità in patria della poesia ermetica italiana esemplificano questa attrazione che molti italiani provano verso testi criptici e che si prestano ad interpretazioni plurime. Secondo me, il fascino del concetto di “Gesù Abbandonato” (come quello di altri punti della spiritualità focolarina) sta proprio nel modo nella forma criptica in cui è narrato; altrimenti, sarebbe percepito in tutta la sua vacuità. Avendo una formazione scientifica, ritengo che la spiegazione più attendibile di un fenomeno non verificabile sperimentalmente sia quella che richiede il minor numero di assunzioni indimostrabili. Dunque, se un concetto come “Gesù Abbandonato” può essere una cosa ed il suo contrario (come descritto da CL ne “Il Grido”) per me vuol dire che è mal definito, o più semplicemente, che è falso. Un altro punto di forza è stato senza dubbio il carisma di Chiara, rigorosamente con la “C” minuscola perché non è affatto un dono divino: è la capacità di ingannare le persone. Aveva intorno a sè un sistema che la faceva apparire ai nostri occhi come una persona eletta, pur essendo solo una pensatrice mediocre.

Non è solo la spiritualità focolarina ad essere poggiata su assunti per me falsi ma anche il modo in cui viene proposta è altamente ingannevole. Ci facevano credere che quella del movimento dei focolari fosse una formazione permanente all’amore fraterno: incontri su incontri a lodare le mediocri parole di Chiara Lubich (ed io che mi sentivo sbagliato perché mi sembravano mediocri) andando in giro per province e regioni diverse, infrasettimanalmente e nel fine settimana. Poi, però, cosa ne facevamo di tutta questa formazione? Attività per l’aiuto dei più bisognosi? Sì, ci sono anche quelle; e sono convinto che ONG come l’AMU ed altre realtà di volontariato legate al movimento facciano un lavoro molto serio. Però il tempo di noi giovani interni, noi “prescelti” a diventare la futura generazione del movimento, andava il larga parte negli incontri ed in altra parte nella organizzazione di eventi per la raccolta fondi, lasciando peraltro relativamente poco tempo per le nostre attività di studio. Dunque il movimento dei focolari attira i suoi membri proponendo loro di vivere il vangelo, di dare la vita per gli altri, insieme ad altre scelte radicali, però alla fine la gran parte del tempo la si passa a parlare: un immenso spreco di tempo e di energie di persone capaci che potrebbero fare la differenza.

Vorrei concludere con una breve nota personale. Sono entrato nel movimento dei focolari perché volevo vivere il vangelo nella mia vita, cosa che non mi sembrava di vedere affatto nella mia realtà parrocchiale, traboccante di perbenismo e mediocrità. Mi sono trovato accolto in una nuova famiglia, che a parole aveva quel fine; mi ha fatto credere che per raggiungere una unione mistica con Dio dovessi distruggere me stesso e passare il mio tempo libero a fare incontri. Tutto questo ha portato un danno irreparabile alla mia carriera, avendo causato un forte rallentamento dei miei studi (praticamente tutti noi nel movimento eravamo fuoricorso), della conoscenza di me stesso e del mio sviluppo affettivo. Mi sono salvato grazie alla mia mente razionale, all metodo scientifico sperimentale, ai libri che leggevo (storia del cristianesimo e scritti spirituali del Cardinal Martini) ed ai miei amici atei, che mi hanno voluto bene per quello che ero ma che giustamente erano impietosi verso il movimento. Dicono che chi entra in focolare viene invitato a “tagliarsi la testa”, cioè smettere di pensare. Nessuno mi ha chiesto di farlo, peró per continuare ad essere nel movimento ad un certo punto sarebbe stato inevitabile. Sono riuscito a scamparla in tempo. Mi accorsi che per continuare ad esistere come focolarino mi si chiedeva di non essere: non essere i miei sogni, non essere i miei pensieri, non essere le mie opinioni, non essere le mie emozioni. Per questo non mi serve una commissione per le vittime. Io non sono vittima di una persona che ha deviato dall’ideale, io sono stato danneggiato dall’ideologia focolarina nella sua purezza e dalla organizzazione nel suo funzionamento voluto.1

1. Il titolo di questa testimonianza fa il verso a Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi, il primo album del gruppo musicale italiano CCCP - Fedeli alla linea pubblicato nel 1986. Il riferimento a una presidenza eterna richiama la figura di Kim Il-sung (1912-1994), che in Corea del Nord è chiamato ufficialmente “il Grande Leader” e dalla sua morte è immortalato nella Costituzione come “presidente eterno” della nazione.

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