Testimonianze

La mia esperienza gen tra sessuofobia, divario di genere e ipocrisia

UNA EX GEN

Ho passato nel Movimento dei Focolari tutta l’infanzia e l’adolescenza, fino circa ai ventiquattro anni. Salvo una breve parentesi di un paio di anni in cui mi sono allontanata, la spiritualità dell’unità ha dunque fatto parte (e una parte molto importante) della mia vita negli anni della crescita e della formazione, quelli più delicati dove un individuo forma il suo carattere e la sua personalità. La mia esperienza è dunque soprattutto relativa al Movimento gen (gen4, gen3, gen2), per tutti gli anni Novanta e Duemila, fino a circa il 2012.

Non posso dare colpe ai miei genitori per avermi forzato a frequentare il Movimento, perché è stata sempre una mia scelta - anzi, tutta la mia famiglia ha abbandonato dopo pochi mesi o un paio di anni. Sono stata io a voler continuare.

Con il senno della persona adulta che sono oggi, riesco a capire cosa mi ha tanto attratto, che ha molto a che fare con la piccola realtà di provincia in cui sono cresciuta.

L’offerta di profondità

Vuoi per la mia indole (divoravo libri, film e musica impegnati), vuoi per le scarse opportunità della provincia in cui vivevo, ho sempre sofferto la superficialità “provinciale” dei miei coetanei. Il Movimento mi dava la possibilità di scoprire un approccio più profondo e serio alla vita e alle cose, di uscire dal mio piccolo paesino di provincia e conoscere persone diverse, di fare dei discorsi seri e non parlare solo di vestiti e ragazzi, come molte mie compagne di scuola facevano.

L’idea di appartenenza

Proprio per queste mia scarsa voglia di parlare di cose superficiali, ho sempre fatto fatica a legare con i miei coetanei. Nel Movimento ho trovato gli amici che non trovavo a scuola, persone con cui condividere il tempo, le esperienze (viaggi, vacanze, compleanni...), con cui poter parlare di cose importanti. Nell’adolescenza sentirsi parte di un gruppo è fondamentale. Il Movimento Gen mi ha dato un gruppo cui sentivo di appartenere.

Sarebbe troppo lungo raccontare cosa poi è successo e come, ma desidero soffermarmi su alcuni punti che mi hanno sempre dato molto fastidio e che hanno contribuito al mio allontanamento.

La disparità di trattamento tra maschi e femmine.

Mi irritava moltissimo il fatto che i gen potessero essere anche ragazzi “normali”, con hobby, interessi, serate al pub o a ballare, relazioni con le ragazze. Le gen dovevano invece essere creature angeliche, senza hobby troppo impegnativi che togliessero tempo al Movimento, asessuate, senza pulsioni verso l’altro sesso. Potrei citare decine di episodi in cui questa disparità si è manifestata, sia riguardo all’abbigliamento (bastava davvero poco per essere considerata troppo provocante), all’avere una relazione sentimentale al di fuori del Movimento (ai gen era consentito, alle gen sempre con molto sospetto...), agli impegni (le gen dovevano sempre esserci a tutti gli incontri, mentre se un gen saltava un incontro per andare al mare non c’era problema...). Se fossi stata un maschio, probabilmente avrei resistito nel Movimento molto più a lungo.

Inoltre il fatto che tutta la formazione, compresi i convegni mondiali, avvenisse divisa per sesso, creava dinamiche poco sane.

Le rare volte che i gen e le gen facevano qualcosa insieme c’era un clima di eccezionalità che sembrava dovesse arrivare il Papa: tutte le gen si facevano belle perché finalmente potevano vedere i gen... sarebbe stato molto più sano che questo avvenisse con più frequenza, che relazionarsi con l’altro sesso fosse la norma e non l’eccezione.

Quando da gen2 sono stata per qualche anno l’assistente di un gruppetto di gen3, mi confrontavo spesso con il mio omologo assistente dei gen3.

Lui era molto più libero di me nella gestione del gruppo, nelle attività da fare, ecc. Una volta che avevamo programmato un’attività da fare insieme i gen3 e le gen3, al focolare maschile erano tutti entusiasti, mentre io mi sono dovuta sorbire un predicozzo dal focolare femminile sul fatto che Chiara Lubich avesse espressamente stabilito che la formazione andava fatta separatamente. Addirittura mi è stato ricordato: “Nessuno tocchi il bambino!”1 (chi è stato nel Movimento capirà questa espressione).

Non volevo certo riformare il Movimento, volevo solo che le mie cinque ragazzine andassero a fare una giornata di volontariato con cinque ragazzini maschi...

L’approccio alla sessualità

Non c’è mai stata una formazione ben fatta sulla sessualità, solo il dogma di arrivare vergini al matrimonio. La “purezza” veniva chiamata. Come se avere una vita sessuale ti rendesse “impuro”... Da gen2 ricordo con rabbia un incontro (uno dei rari momenti con gen2 maschi e femmine insieme) dove venne a parlarci un medico focolarino. Sono figlia di un medico, dunque mi aspettavo un discorso da professionista. Rimasi basita quando disse che l’unico strumento contro le gravidanze indesiderate era la verginità fino al matrimonio. Può essere l’opinione di un cattolico, ma non può essere il discorso di un medico che sta parlando da professionista. Ero arrabbiatissima.

Non tolleravo nemmeno l’ipocrisia sulla sessualità: c’erano gen (soprattutto maschi ma non solo) che certo non erano vergini anzi, avevano una condotta sessuale piuttosto disinvolta. Ma bastava che non se ne parlasse agli incontri e con il focolare, e allora andava bene. Un po’ come l’elefante nella stanza: facciamo finta che non ci sia.

Per non parlare dell’omosessualità: ricordo una discussione con una focolarina perché (avevo diciassette anni ma le idee molto chiare su questo grazie appunto all’essere figlia di un medico) non cedevo sul punto che l’omosessualità non fosse una malattia. Conosco ex gen omosessuali che sono stati messi alla porta per questo, in modi davvero poco gentili.

Mi sono spesa davvero moltissimo per il Movimento, perché ci credevo. Ero decisamente tra le più assidue e costanti della mia zona geografica, perché ci credevo sinceramente. Non mi sono risparmiata mai, in termini di tempo, energie, disponibilità, ascolto. C’ero sempre, ero un punto di riferimento per molti. Con diversi gen si era cresciuti insieme, si erano condivise esperienze importanti, c’erano rapporti sinceri e solidi.

Una volta che me ne sono andata, è come non fossi mai esistita. Sono spariti tutti. Tutti. Nessuno che mi abbia chiamato per sapere come stavo, per ascoltarmi e capire perché di colpo avessi preso questa decisione, se volevo fare due chiacchiere per parlare. Ci sono persone che mi hanno tolto il saluto per strada, altre che di colpo non mi hanno più invitato al loro matrimonio.

Penso che la più grande violenza mi sia stata fatta lì, nel negarmi la possibilità di continuare i rapporti e soprattutto negarmi la possibilità di parlare, di poter raccontare a voce alta (con i gen o con il focolare) cosa non andava bene.

Penso che vorrei delle scuse. E so che non arriveranno.

Ogni tanto mi domando se tutto ciò che ho fatto, l’essermi spesa con tutto il cuore e tutte le forze, effettivamente non è stato nulla, visto che nulla è rimasto. Se i rapporti che avevo, quelli sinceri e solidi che duravano da molti anni, fossero basati sul niente, visto si sono dissolti. Se fosse tutto una grande menzogna, rapporti compresi. Se siano tutti spariti perché in realtà non mi sopportava nessuno. Se quando me ne sono andata nessuno mi ha cercato perché non vedevano l’ora che mi levassi di torno, o perché già sapevano che sarebbe successo. Se avrei dovuto fare di più. Se nessuno si ricordi nemmeno il mio nome, la mia faccia, la mia costanza, la mia disponibilità. Se nessuno mi abbia mai voluto bene sinceramente.

Non c’è una risposta. Quindi cerco di non pensarci troppo spesso.

1. Chiara Lubich aveva iniziato ad adoperare l’espressione “Nessuno tocchi il bambino!” dopo l’approvazione ufficiale degli Statuti del Movimento da parte della Chiesa, quando erano state messe nero su bianco — in via definitiva — le regole, le divisioni tra le varie branche, ecc. Una delle regole normava le attività di formazione, che dovevano svolgersi divise per sesso, tenendo separati maschi e femmine. Il metaforico “bambino” da non toccare si riferiva alle regole stabilite una volta per tutte, e quindi nessuno avrebbe dovuto osare (nemmeno in futuro, una volta deceduta Chiara) modificarle: l’Opera di Maria era così com’era e non andava toccata.

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