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La gogna della verità

News pubblicata il 22 febbraio 2023 • Testo di Redazione Oref

Immaginate di vivere in una comunità in cui vi è consentito infierire sulle altre persone tramite critiche e giudizi morali, avendo le spalle coperte e la coscienza pulita: in questa comunità, la formula magica che lo rende possibile è brevissima: “Prendi e porta a casa: è la Grazia che parla.”

Ora smettete di immaginare, non ce n’è bisogno: quella comunità esiste davvero, è il Movimento dei Focolari. Nell’organizzazione ispirata da Chiara Lubich, quella gogna pubblica ha un nome: si chiama Ora della verità.

L’Ora della verità, soprattutto la fase detta Purgatorio, è una pratica terribile con cui infliggere ferite profonde alle persone. Conosco una ex focolarina a cui è stato detto: «Tu hai la faccia da idiota e il cervello da idiota; meglio che resti in Focolare, se no diventi una donna di strada...» Queste parole hanno ingigantito l’insicurezza e il senso di inferiorità di questa povera popa. Ne soffre ancora oggi.

Al ricordo di questa corrispondente, che ci scrive dall’estero, fa eco una ex focolarina sposata italiana:

A ricordare l’Ora della verità mi si rovescia ancora lo stomaco. Mi rivedo seduta in cerchio in Focolare, ad assistere a questa pubblica gogna. Era “l’Ora della vendetta”, altro che quella della verità! L’accanimento con cui in quel momento si scioglievano le lingue era quasi inverosimile, rispetto al silenzio con cui si accettava tutto, quasi fosse la prassi. Dieci minuti di Purgatorio che ti scorticava vivo, seguiti da un minuto di Paradiso — il momento in cui ti segnalavano le cose positive, spesso fatto più per dovere che per altro. Chiara Lubich parlava di un “tripudio di gioia” a seguito di quei momenti: io non l’ho mai visto né vissuto. Ricordo soltanto persone che, col pianto in gola, ringraziavano di essere state massacrate. Si diceva che Chiara ricevesse direttamente dal Papa il suo Purgatorio e il suo Paradiso, quando in realtà l’esserne esentata era solo l’ennesimo privilegio che spettava a lei e lei soltanto: Lubich non viveva la vita del Focolare che invece imponeva agli altri.

Una terza ex focolarina sottolinea l’uso strumentale che veniva fatto di quella gogna per sanzionare la dissidenza:

Un errore di questa pratica è che il Paradiso e il Purgatorio sono valutati sulla base dei valori propugnati dal Movimento, non sui valori di una crescita equilibrata della persona. Entrava nel cosiddetto Purgatorio tutto quello che andava contro il sistema. Quanti ne ho presi! [...] Ricordo un Purgatorio fatto a una focolarina sposata cui era morto un bimbo di un mese; poiché soffriva molto, in quella sede fu accusata dalla capofocolare di non essere capace di “vivere Gesù abbandonato”.

Accanto a esempi di vera e propria crudeltà, altri fanno arrossire per la sfacciataggine:

Capitava che mi facessero il Purgatorio perché non avevo fatto abbastanza abbonamenti a[lla rivista del Movimento] Città Nuova.

Pur presentandola in maniera serafica, perfino Chiara Lubich era consapevole del carico di sofferenza che tale pratica portava con sé, scegliendo — per descriverla — una metafora molto efficace:

Noi facciamo l’esempio: come un bimbo quando una mamma per fargli ben circolare il sangue lo mette sotto la doccia dell’acqua fredda, e il sangue gira, il bambino diventa tutto rosso, ma gli fa bene alla salute, ecco. Qui, con questo modo di fare, è anche doloroso, però gira il sangue soprannaturale, gira l’amore più libero, più pienamente e si è tutti... tutti felici alla fine.1

Un’immagine che illustra bene l’infantilizzazione dei membri del Movimento, ritratti come bambini cui una figura adulta somministra la tortura usata per calmare i degenti degli asili psichiatrici quando danno in escandescenze: il bambino è una figura incapace di capirne il valore e priva di diritti, a cui non è necessario chiedere il consenso; l’adulto — che nella metafora è la persona più alta in grado nella gerarchia focolarina — ha ben chiaro che quella dose di sofferenza farà crescere la persona sottoposta; una convinzione perversa, benedetta dall’idea che qualunque critica venga mossa è ispirata dalla Grazia celeste.

L’autore del blog L’inciampo del carapace ha pubblicato un lungo articolo che racconta la pratica e ne chiarisce le problematiche legali; l’Ora della verità viola la legge canonica perché introduce nelle dinamiche comunitarie due situazioni espressamente vietate dalla Chiesa:

1) La commistione fra foro interno e foro esterno;
2) La manifestazione della coscienza forzata.

Riassumendo,

per “Ora della verità” si intende quel momento della vita di un gruppo, Focolare o altro, dove ci si dice tutto nella verità — fatta eccezione per i responsabili che nella struttura gerarchica del Movimento possono essere corretti solo da qualcuno di superiore al loro grado.

Tale momento affonda le sue radici nella rigida impostazione verticistica del Movimento, che nelle intenzioni di Chiara Lubich

funzionava secondo lo schema genitori-figli, madre-bambini, maestra-allievi, che non presuppone un rapporto alla pari tra adulti; ogni relazione orizzontale è osteggiata in ogni modo.

Partecipare a questa pratica

presuppone una completa rinuncia alla propria personalità e individualità, che devono essere immolate a favore del gruppo e sopratutto della persona responsabile, che incarna niente meno che il volere di Dio sulla terra. [...] Divisa in due momenti specifici, l’Ora della verità è composta dal Purgatorio e dal Paradiso. Nel Purgatorio si segnala alla persona malcapitata tutto quello che di negativo dovrebbe correggere nel proprio comportamento, carattere e modo di incarnare gli insegnamenti di Lubich. Nel Paradiso, invece, si dovrebbe edificare la persona di turno, dicendole tutto quanto di positivo c’è in lei. L’enfasi è comunque sovente sul negativo piuttosto che sul positivo; quasi sempre il Purgatorio prevale sul Paradiso. Lo strumento si trasforma facilmente in una valvola di sfogo delle più varie nevrosi, usato com’è con troppa disinvoltura da persone senza adeguata maturazione spirituale, impreparate e non formate, e rischia di provocare ferite profonde e seri danni in chi lo subisce.

Come si è visto, le testimonianze negative abbondano.

L’autore del post (accessibile integralmente qui) è un ex focolarino che ricorda bene l’ultima “Ora della verità” a cui ha dovuto sottostare:

Poco prima che lasciassi il Focolare dove abitavo [...] i focolarini mi tesero un agguato e una sera, dopo cena, proposero di farmi l’Ora della verità. Per i focolarini ero diventato ingestibile; i miei dubbi, le mie perplessità, la mia fede che iniziava a vacillare, erano diventati scomodi per loro, e come in una malattia autoimmune, mi sono sentito “rifiutare” dall’organismo cui facevo parte. Ricordo che esagerarono proprio. In tutta la serata non spesero nemmeno una parola di incoraggiamento né provarono a sottolineare il positivo. Nessun equilibrio, quindi, tra il Purgatorio e il Paradiso. Se allora fosse esistita una “polizia focolarina” li avrei denunciati per mobbing. Dopo un simile processo sommario non ci si può sentire incoraggiati, sostenuti, spronati ad andare avanti. In realtà fu una scusa e appunto solo lo sfogo delle paturnie di uno di loro che mal mi sopportava.

In un commento, l’ex focolarino Guy ha chiosato:

Dopo l’Ora della verità in cui io ero stato “la vittima” si avvicinò un focolarino sposato che mi disse: «Queste cose non avrebbe potuto dirtele il capofocolare!». Tuttavia nessuno ebbe da obiettare durante la seduta. Quando, viceversa, fui io ad accorgermi che il responsabile diceva fesserie, lo dissi davanti a tutti (ovviamente con termini appropriati); la risposta del responsabile fu: «Io ho la Grazia» (sottinteso: tu no). Nessuno fiatò, escluso un altro focolarino sposato che pochi mesi dopo se ne andò dal Movimento, appena dopo di me. Era il 1997. La grazia! De che?!

L’autore del post segnala svariati tentativi di resistenza dall’interno di alcuni Focolari:

[Oggi] molti si rifiutano e non vogliono più farla [l’Ora della verità] e hanno optato per altri modi di curare le dinamiche della vita di comunità. Mi ricordo di Focolari dove si è addirittura arrivati alle mani.

Attraverso la denuncia pubblica di queste pratiche intendiamo incoraggiare una sana resistenza (e una fiera diserzione) in chi si trova ancora stritolato in quei meccanismi. Le crescenti adesioni che sta ricevendo Oref ci dicono che la strategia funziona, perché suscita il desiderio di interrompere un rapporto di complicità con una struttura le cui pratiche — al di là della volontà e della consapevolezza delle singole persone — possono avere conseguenze psicologiche e spirituali gravissime.

Chi tace è complice.

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